Recensione Com'è bello far l'amore (2012)

Un film che, pur vantando un'esteriorità innovativa, in realtà continua a celare un contenuto tendenzialmente semplice caratterizzato da un'architettura narrativa volta al minimalismo.

Niente sesso, siamo quarantenni

Dopo vent'anni di matrimonio è ancora possibile avere una vita sessuale frizzante e coinvolgente? La risposta è positiva, sempre che si continui a essere fisicamente prestanti, aperti a nuove esperienze e spudoratamente fantasiosi. A sostenere l'infallibilità del teorema è Max, esperto conoscitore dell'animo femminile e pornoattore di fama internazionale che, piombato nella soporifera intimità di Andrea e Giulia, cerca di riaccendere la passione con ogni espediente possibile. Sposati, proprietari di una villetta e genitori di un adolescente in crisi sentimentale, i due vivono una quotidianità fatta di gesti ripetuti e consueti che, pur costruendo una solida serenità, condannano la coppia a una noia senza ritorno. Fortunatamente per loro, però, l'arrivo dell'amico apre le porte a esperienze proibite e inconsuete che, andando oltre giocattoli erotici, film porno e consigli pratici, conducono Andrea e Giulia nell'anonimato di una dark room per risvegliare finalmente l'ardore sopito e riconoscersi ancora innamorati.


Se è vero che l'abito non sempre riesce a fare il monaco, è altrettanto certo che anche al cinema, luogo sacro dedicato alla celebrazione dell'immagine, bisogna spesso diffidare delle apparenze. Il pericolo è di trovarsi di fronte ad un film che, pur vantando un'esteriorità innovativa, in realtà continua a celare un contenuto tendenzialmente semplice caratterizzato da un'architettura narrativa volta al minimalismo. E' il caso dell'ultima fatica di Fausto Brizzi che, sedotto dalla potenza del 3D e dall'entusiasmo di James Cameron per il mezzo, si è lasciato trasportare da una sorta d'istinto pioneristico onestamente non necessario al cinema italiano. Il risultato è un ibrido in cui la tecnica, applicata alla semplicità strutturale della commedia, perde ogni ragione di essere sia come spettacolarizzazione sia come amplificazione dell'emotività, costruendo la struttura di un oggetto visivo momentaneamente ludico ma lontano dallo sfiorare ambizioni cinematografiche. In questo modo Com'è bello far l'amore si presenta come una sorta di giocattolo dai colori sgargianti e dal design moderno destinato, però, a custodire un ingranaggio fin troppo elementare.

Nonostante la riuscita rappresentazione di un Filippo Timi goliardicamente seduttore e l'applicazione di effetti visivi d'ispirazione cartoon, il film mostra chiaramente i segni rivelatori della narrazione generica tipica del percorso artistico di Brizzi. Così, dopo gli adolescenti di Notte prima degli esami, gli Ex in lotta e lo scontro dei sessi di Maschi contro femmine, il regista continua a produrre un cinema strutturato in categorie umane che tutto comprende e nulla specifica. Senza mettere in atto confronti con la storica commedia all'italiana, ormai estinta da molti decenni, "l'evoluzione" moderna del genere ha rinunciato alla malizia e alla scorrettezza delle origini nel nome di una visione più diluita e superficiale dei movimenti sociali. Una scelta di "stile" che, in questo caso, non risparmia certo le coppie di quarantenni in affanno sessuale, ponendole al centro di una narrazione comica caratterizzata da un'autocitazione tanto ripetitiva quanto sterile. Il risultato è una produzione in serie di suggestioni, riferimenti e personaggi nati dai bagliori di moduli precedentemente riusciti ma incapaci di concedere molto spazio al coraggio e alla sperimentazione. Un dato che, nonostante le esaltanti cifre del botteghino, racconta molto della condizione poco rassicurante in cui si trova a sopravvivere un genere nobile come la commedia, da sempre caposaldo della cinematografia italiana e riflesso impudente dei nostri tempi.

Movieplayer.it

2.0/5