Netflix acquista Warner e fa tremare Hollywood: è davvero la fine del cinema?

La temuta fusione tra il colosso dello streaming e lo studio è ufficiale. I futuri scenari spaventano cinefili, sindacati ed esercenti, ma la scelta di Netflix va letta in un quadro generale di trasformazioni e contrappassi dell'entertainment.

Netflix acquisisce Warner

"In passato abbiamo già chiarito di non avere alcun tipo di interesse nell'entrare in possesso di media tradizionali, e le cose non sono cambiate. Possiamo essere molto esigenti". Lo dichiarava Ted Sarandos, CEO Netflix, a ottobre 2025, ed è una di quelle uscite decisamente invecchiate male. Malissimo. Poco più di un mese dopo ecco che il colosso dello streaming ha infatti ufficializzato l'acquisizione di Warner Bros, uno degli studio pilastro dell'economia cinematografica americana e mondiale. La cifra è da capogiro: 82,7 miliardi di dollari per un accordo che al momento è solo annunciato e ben lontano dalla chiusura, che prevede una lunga trafila di approvazione da parte di azionisti e anti-trust e una stipula legale effettiva con annesse suddivisioni e trasformazioni interne alla fusione.

Lucca Comics And Games 2025 Stranger Things Stagione 5
La presentazione di Stranger Things a Lucca

Si pensa che il tutto si possa concludere tra l'autunno e l'inverno 2026, ma guardando ad esempio all'acquisto della Fox da parte della Disney è una finestra temporale decisamente ottimistica. Ciò detto, la prima e più potente scossa tettonica di questa fusione ha già colpito il mondo dell'entertainment tutto, generando paura per il destino della sala e della Settima Arte in generale, già fragile e in crisi. Quali sono allora i possibili scenari di questo accordo? La fine dell'esperienza cinematografica per come la conosciamo è davvero vicina?

Netflix e Warner, un piccolo recap

Superman David Corenswet
Superman, tra i marchi Warner

Di risposte in tasca non ne abbiamo, ma è possibile analizzare fatti e dichiarazioni, anche se poi queste ultime lasciano sempre il tempo che trovano (l'inizio dell'articolo lo dimostra). Partiamo dai fatti: il primo e più importante è che il mercato cinematografico non vive un bel periodo più o meno da cinque anni. Il secondo è che Netflix è già dichiarata colpevole di filmicidio da circa dieci anni, in pratica dal momento della sua espansione internazionale irrefrenabile, quando però i cinecomic incassavano ancora miliardi e la piccola industria si dava i pizzicotti per capire se era solo un incubo o una moda passeggera.

Perché già nel 2015 il cinema non se la passava alla grande, soprattutto in termini di produzioni indipendenti e autoriali, e infatti di lì in poi tante grandi firme hanno optato per un passaggio allo streaming, dove gente come Hastings e Sarandos cominciava a sborsare milioni per produrre film che altri (Warner compresa) non voleva finanziare e distribuire nelle sale. Titoli che senza se e senza ma non avrebbero mai visto la luce altrimenti.

Andare oltre il cinema

Certo, il colosso dello streaming si è mosso per rientrare nelle campagne dei premi e per dimostrare la bontà di alcune intenzioni produttive rispetto a tante altre scelte opinabili (e opinate!), ma la mano invisibile agisce così: interessi miei, interessi vostri. Per cui, lo streaming era già accusato di uccidere il cinema quando il cinema di massa era in super-salute, e l'industria indipendente se la prendeva con i supereroi quando questi stampavano sorrisi a' la Pluribus sui volti di dirigenti, pubblico ed esercenti, difendendo invece l'operato salvifico dello streaming. Nel frattempo grandi multinazionali come Disney, Amazon, Apple, Paramount e la stessa Warner hanno deciso che sì, il cinema non bastava più, che bisognava espandersi e diversificare anche verso orizzonti più casalinghi, lanciando ognuna la propria piattaforma streaming in diretta competizione con Netflix, di cui lo streaming - è bene sottolinearlo - fino a quel momento era il solo e unico core business.

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Mercoledì: Jenna Ortega, protagonista della serie Netflix

Comprava le IP dagli stessi che poi, nel giro di qualche anno, gliele hanno tolte tutte, inserendosi velocemente in una fetta di mercato in crescita e azzannando alla giugulare i rivali con acquisizioni e creazioni di proprietà senza sosta. Mutatis mutandis, era solo questione di tempo prima che Netflix facesse la propria mossa per ribaltare - almeno in parte - la situazione, soprattutto per colpire in contrappasso i competitor con una scelta che in realtà potrebbe nascondere riflessioni meno scontate di quanto l'opinione pubblica pensi.

Netflix, Warner e le finestre temporali

Esposti i fatti, passiamo alle dichiarazioni. Sempre di Ted Sarandos - per cui tutto cum grano salis. A poche ore dall'ufficialità della fusione, il CEO ha chiarito: "Non definirei questo accordo come un cambio radicale d'approccio per i film Netflix o per quelli Warner. Credo che nel tempo le vetrine evolveranno per essere molto più consumer friendly, per raggiungere il pubblico molto più rapidamente". Sarandos non è un grande amante della lunga permanenza nelle sale ma al contempo la finestra attuale media di un film al cinema è di 45 giorni prima del passaggio in streaming, ancora più corta (dipende dagli accordi: in Italia anche 17 giorni per alcuni titoli) per quanto riguarda il video on demand.

Daniel Radcliffe in un momento del film Harry Potter e la camera dei segreti
Tra i marchi Warner: Harry Potter

Se poi vanno malissimo, le produzioni permettono un salto in piattaforma più reattivo per ammortizzare le perdite, e non è ormai raro che una volta disponibile a casa quello stesso flop si trasformi in un successo. Significa che la stessa gente che ha ignorato quel titolo in sala ha scelto invece di vederlo subito in streaming. E questo, al giorno d'oggi, vale anche per i cinecomic un tempo all'apice della catena alimentare cinematografica. Viene da chiedersi: se i supereroi non incassano più e le piccole e medie produzioni faticano a trovare spazio e pubblico in sala perché da sole non bastano a salvare il settore, cos'è che in effetti genera introiti consistenti sul grande schermo? La risposta è l'evento.

Il fattore evento

Bisogna creare un evento, trasformare un film in qualcosa di chiacchierato, appetibile, impossibile da perdere, che vada oltre le semplici barriere cinematografiche, che smuova qualcosa culturalmente, emotivamente o anche solo social-mente. Un sequel richiesto attesissimo da un'intera generazione (vedi Zootropolis 2 o Avatar 2), uno scontro al box-office titanico (Oppenheimer e Barbie), anime del momento (Demon Slayer, Chainsaw Man). Questo per dire che il cinema per come lo conoscevamo è già cambiato da tempo, trasformandosi più e più volte. E che la sala, per quanto doloroso ammetterlo, è appannaggio delle "vecchie" generazioni, sempre meno delle nuove. E il cinema è un mercato e risponde alle sue leggi darwiniane. Una crasi era sostanzialmente inevitabile, quantomeno in relazione alle finestre temporali dei film al cinema, non certo all'idea di eliminare l'esperienza della sala.

Con l'acquisto di Warner, molto probabilmente, Netflix vuole in qualche modo avviare questa rivoluzione nelle finestre di permanenza e permettere all'audience più scelte di visione ravvicinate, che però - ed è inutile negarlo - sa già che verteranno sulla comodità e sul risparmio per questioni di stampo culturale, economico e generazionali. Eppure non è Netflix che ha creato il problema: semmai ha intercettato il cambiamento, lo ha cavalcato e ora lo sta guidando. Come fatto comunque da altri: vedi Amazon con la MGM o la Disney di Chapek con l'animazione. Al contempo, inoltre, l'azienda potrà vantare nel proprio portfolio una quantità di IP già amate o rinomate da continuare a sfruttare in sala con approccio diversificato dalla loro attuale policy e anche in streaming, ampliandole o rilanciandole.

Tutti contro la fusione

L'idea è che l'accordo Netflix-Warner non metterà al bando i film dalle sale, ma la paura degli esercenti è del tutto comprensibile. La Writers Guild of America (il sindacato degli sceneggiatori) si è già schierata contro la fusione, invocando la legge anti-trust e il blocco dell'acquisizione. Può la più grande azienda di streaming al mondo inglobare uno dei suoi più grandi competitor? Con le giuste condizioni e con un accordo ben strutturato, può. Lo stesso discorso è venuto a galla con la fusione Disney-Fox, e il fatto che sia passata ha solo creato un precedente positivo. L'opposizione delle firme sindacali, in realtà, è di puro sostegno al timore di un collasso del sistema sala paventato dagli esercenti, che già attualmente devono fare i conti con costi di gestione e noleggio sempre più elevanti, trovandosi costretti ad aumentare prezzi di biglietti e servizi.

Lo streaming è il nemico più facile da additare, ma come visto nel paragrafo in alto la convivenza in tempi di cinecomic era fattuale, per quanto litigiosa, e generava al contempo attriti e benefici. Il problema, in verità, è ben più grande e generalizzato ed è ormai più di un decennio che viene profetizzata la morte della sala, che però è ancora lì, più vegeta che viva ma ancora lì, nonostante tutto. E questo dovrà pur significare qualcosa.