Nel paese dei politici buffoni
Presentato come l'ultimo miracolo del cinema indie italiano che riesce con fatica, ma con coraggio, a raggiungere la sala, Il punto rosso di Marco Carlucci altro non è che un brutto pasticciaccio qualunquista su uno dei mali più grandi che hanno affossato da tempo il nostro paese: la cattiva politica e i suoi giochi di potere che si fanno beffe dei cittadini e strozzano qualsiasi moto di moralità. In questa "fiaba sociale sull'Italia dei giorni nostri", come definita dallo stesso regista, per ridare vigore ad una coscienza politica pubblica addormentata dalla solita nenia dei politici che non sanno più parlare ai propri elettori, scende nel solito circo della campagna elettorale una nuova, quanto improbabile, formazione, gli Invisibili, composta da un cabarettista capobanda, un pastore che rischia di vedersi espropriare il proprio lembo di terra ed un ragazzino nullafacente, già vittima di storpi usurai. Tra le poche idee che sembrano essere alla base del nuovo soggetto politico solo una viene esposta chiaramente: non è stata la scelta dell'euro ad essere stata sbagliata, ma il non aver impedito al mercato di far lievitare i prezzi senza controllo. Ovvero, le ovvietà economiche spiegate agli ignoranti.
Carlucci propone quindi l'idea, a dir la verità ben poco originale, di un satiro quale nuova linfa per il carrozzone politico italiano, manovrato dai soliti nomi che sbandierano ideologie ammuffite come arieti che mascherano in realtà i propri interessi personali. Perché ormai a parlare alla gente (o "a dire qualcosa di sinistra" avrebbe suggerito qualcuno) sembrano siano rimasti davvero solo il Moretti o la Guzzanti di turno. Qui però non c'è nulla della verve, della rabbia o della delusione dei nomi citati, e per una volta la realtà portata sullo schermo è ben più scema di quella a cui evidentemente si ispira. Il satiro sembra far ridere di gusto i suoi spettatori diegetici, conquistati da una palla rossa sul naso o da un balletto sbilenco, ma a noi che siamo in sala non riesce a sorprenderci neppure con un sorriso di circostanza, anche perché la recitazione dell'intero cast, di chiara derivazione teatrale, è così innaturale che sembra di assistere a scenette messe insieme a caso che non solleticano alcuno dei nostri sentimenti. Strano destino comunque quello dei veri satiri oggi, che sanno spesso sì riempirci la bocca di riso, ma screziato di quell'amarezza inevitabile quando si parla di certi temi che ci coinvolgono e ci dolgono in prima persona.
Nel film di Carlucci, che sfugge a pretese autoriali per parlare anch'esso direttamente al popolo, ci sono tutti i luoghi comuni relativi alla classe politica italiana. Uno su tutti è la tavola alla quale sono seduti i protagonisti di questo circo, con la torta spartita in porzioni uguali tra tutti i commensali. E poi ci sono i siparietti televisivi (con tanto di abbandoni improvvisi dello studio per qualche battuta fuori posto), le censure ordinate dai piani alti, il terrorismo invisibile che inquina il normale svolgimento delle elezioni. Il tutto mentre i cittadini-vittime annaspano nei problemi della quotidianità (ricondotti in verità in quei tipici discorsi da fermata dell'autobus su quanto l'euro ci abbia rovinato) o in quella sabbia mobile che è l'usura. Girato in digitale, con un'attenzione particolare ai giochi di luci ed ombre che conferiscono alla pellicola un certo fascino, Il punto rosso prova a fare il punto della situazione disperata dell'Italia politica, ma finisce col naufragare in uno sterile qualunquismo che nel finale diventa addirittura autocelebrativo. Lo stesso Carlucci firma un montaggio confuso che neutralizza qualsiasi ipotesi di immedesimazione con i protagonisti del film che si lanciano in battute che il regista non ci fa ascoltare, preso com'è dal tentativo maldestro di star dietro al teatrino di burattinai e marionette messo in piedi fotocopiando, un po' troppo semplicisticamente, la realtà.
Ma dove sono le idee, giovani cineasti italiani? Perché all'estero si fanno miracoli con le opere prime e qui al massimo si cerca un vestito decente per un'inoffensiva banalità? C'è da meditare seriamente.