Pierfrancesco Favino è uno degli attori italiani più apprezzati all'estero e ha dimostrato di saper recitare in inglese con un ottimo accento. Per il suo ultimo film, Napoli - New York, al cinema, Gabriele Salvatores gli ha chiesto però di fare un lavoro inverso: ovvero di sporcare la sua buona pronuncia british, facendo emergere tutta la propria italianità.
L'interprete ha infatti il ruolo di Domenico Garofalo, commissario di bordo della Victory, nave che, come suggerisce il titolo, parte dall'Italia per arrivare in America. A bordo ha a che fare sia con i passeggeri di prima classe, sia con quelli di seconda, principalmente italiani che sperano di trovare una vita migliore oltreoceano.
Favino ha quindi creato una lingua che è metà napoletana, metà inglese. Un percorso che, parole sue, è stato molto più facile. Ce lo dice nella nostra intervista, in cui racconta anche il primo film visto in sala e come l'empatia sia qualcosa da riscoprire.
Napoli - New York: intervista a Pierfrancesco Favino
Insomma, com'è stato parlare questo inglese-italiano in Napoli - New York? "Più semplice! Finalmente non mi sono dovuto impegnare. Bisogna capire che io mi impegno perché ho paura: penso sempre che si renderanno conto che non sono capace. Quindi mi ci intigno".
E ancora: "Penso sia stato un lavoro giusto per la storia che raccontiamo. Il mio personaggio è un uomo che lavora negli Stati Uniti da circa 40 anni e ha un lavoro di responsabilità. Immagino che essere un commissario di bordo sia come essere il manager di un albergo: quindi devi poter avere a che fare con l'aristocratico, che sta nella suite, ma anche con quelli che stanno nelle stanze meno importanti. Quindi mi sono fatto diverse domande: come ha imparato la lingua? Dove la parla? Con chi? E poi ho anche un po' inventato. Ci siamo fatti portare dalla fantasia".
La forza dell'empatia
A bordo della Victory Garofalo scopre due piccoli clandestini: Carmine (Antonio Guerra) e Celestina (Dea Lanzaro). E finisce per prenderli sotto la sua ala. Proprio come il cuoco George (Omar Benson Miller). L'ostinata speranza di questi due spingono infatti molte delle persone che li incontrano ad aiutarli, a preoccuparsi per loro. Perché però l'empatia (e dare una mano agli altri) non va più di moda?
Favino: "Perché sui social va molto di più la notizia negativa. Se vediamo qualcuno che dice: non sai che è successo! Ci fermiamo. Se invece vedi qualcuno che aiuta un altro pensi: vabbè, gli sta dando una mano. Come se quello fosse normale. E in effetti lo è. Invece, par fare click in più, per far fermare di più le persone a guardarci, stiamo ribaltando tutto. E questo vuol dire che la verità di quando ci annoiamo, di quando stiamo in bagno, è violenta. Non siamo più abituati a vedere quello che probabilmente invece facciamo quando non siamo sui social. Questo film, che sicuramente ha un tono favolistico, ci vuole proprio ricordare che esistono anche la gentilezza e la solidarietà. E che le persone insieme sono più forti che non da sole".
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Il primo film al cinema di Pierfrancesco Favino
In Napoli - New York c'è una scena molto bella in cui Celestina vede un cinema in cui stanno proiettando Paisà di Rossellini, ed è come se la ragazzina venisse "chiamata" dalla sala. Quando vede il film riconosce Napoli e i suoi vicini. Si sente rappresentata. E allora, il cinema è ancora casa per Pierfrancesco Favino?
L'attore: "Il cinema è casa di tutti. Se ti chiedo qual è il primo film che hai visto probabilmente non te lo ricordi, o forse sì, ma ti ricorderai di più con chi ci sei andato e che cinema era. Noi leghiamo il luogo cinema alle persone con cui ci siamo andati, all'importanza che avevano per noi in quell'istante. Il cinema è davvero casa. A volte può diventare talmente scontata l'idea che sia casa nostra che pensiamo di portarci casa dappertutto. Ma non è vero. Quando torniamo a casa torniamo veramente a casa. E quando torni a casa la differenza la senti".
E quindi qual è il primo film che Favino ha visto in un cinema? "Il primissimo non me lo ricordo. Ma sarà stato sicuramente un cartone animato. Ciò che il cinema mi regalava erano quelle due ore con mio papà la domenica: mi portava a vedere i cartoni animati in un cinema parrocchiale vicino casa. Il cinema mi stava regalando papà, che per lavoro c'era di meno. Invece il primo film che ho visto non in compagnia dei miei genitori, ma di mia sorella, è Ricomincio da tre. Al Gregory, che adesso non c'è più. Poi da lì sono diventato uno che andava al cinema tre volte al giorno e posso dire tutti i cinema dove ho visto quali film, e con chi, dai 15 ai 30 anni. Ora faccio l'attore, però mi ricordo perfettamente cosa volesse dire per me sedermi al cinema e, col naso in su, farmi portare via".