Napoli, il mondo rovinato
Che ne sarà di Napoli, la città dai sogni infranti che la criminalità e l'incapacità delle istituzioni di fronteggiare i suoi problemi stanno rovinando sempre più rapidamente? Abel Ferrara prova a fare il punto della situazione, cercando di comprendere le cause e lo sviluppo della degradazione di una metropoli simbolo del Sud Europa, stritolata da un clima di tensione e violenza che promuove una diffusa disillusione tra la "brava gente" e quella inevitabilmente deviata dai mali e le mancanze della società. Il suo Napoli Napoli Napoli, documentario che cede alla fascinazione della fiction, non è un omaggio alla città partenopea, ma piuttosto una mappa dei suoi problemi. Intervistato dal regista con l'aiuto dell'ex-detenuto Gaetano Di Vaio, il caporedattore della cronaca nera del quotidiano Roma sintetizza il disincanto di un intero paese nella presa di coscienza che solo andando via da Napoli ci si può salvare. Bisognerà attendere la fine della pellicola e tante drammatiche testimonianze per ascoltare un invito che inverte la rotta: abbandonare la città a sé stessa, alla sua miseria, non può essere una soluzione.
Il regista americano, che in Campania ha lontane origini, è interessato soprattutto alla violenza che si respira in quei luoghi e ai problemi che determinano la discesa agli inferi criminali dei poveri disgraziati. Parte perciò dalla Casa circondariale femminile di Pozzuoli, invitando decine di detenute a raccontare la propria esperienza. Molte di loro sono dentro per spaccio di droga, per piccoli furti, ma tutte condividono la stessa certezza: nessuno è nato per rubare, è la società che ti porta a farlo. Ed in effetti Napoli sconta errori del passato che hanno portato al disastro. Come la speculazione edilizia che ha distrutto la città, il cancro della camorra che si è risvegliata ed espansa come una piovra nel dopoguerra, dal 1949, con l'arrivo in città di Lucky Luciano, come gli organi dello Stato che non hanno saputo affrontare le situazioni critiche, su tutte la mancanza di lavoro, che hanno costretto la "plebe" a piegarsi alla delinquenza. Ferrara decide di non perdersi tra i vicoli di Napoli, andando a sentire le voci di chi gestisce i centri sociali, di chi si ribella alla drammatica condizione di un non-luogo come le Vele di Scampia, di chi tenta di risvegliare i napoletani dal sonno in cui sono caduti, ma non mancano le considerazioni delle istituzioni, come il sindaco Rosa Russo Jervolino e l''assessore alle politiche sociali del Comune Giulio Riccio. Per la prima non c'è alcuna responsabilità del singolo o delle istituzioni, il vero dramma di Napoli sta nella mancanza di lavoro. Ma allora chi ha il potere di cambiare le cose? Senza una prospettiva di sviluppo l'economia illegale ha potuto allargare le sue maglie facendo enormi profitti. Ormai la distinzione tra ciò che legale e ciò che è illecito è fatalmente sfocata. Dal documentario di Ferrara non traspare alcun aspetto positivo della città. Forse ci sono, qualcuno inconsciamente li suggerisce, ma qui non contano: Napoli è la città del terrore, in cui convivono con grandi difficoltà una parte di popolazione privilegiata e un'altra povera e incazzata. Il male è radicato fin nel cuore del territorio: i Quartieri Spagnoli, Scampia, perfino le zone più 'chic' della metropoli non assicurano la tranquillità, anche se lì "ti rapinano meno spesso e i tuoi vicini non necessariamente sono imputati per camorra". Qualcuno nel corso delle interviste dice che a Napoli c'è una nevrosi pazzesca, che la gente sa solo urlare senza rendersene conto, che gli organi di stampa si interessano alla città solo quando ci sono i morti per strada, ma Napoli è piena di "morti che non si vedono, che sono le coscienze uccise dei giovani, la negazione dei loro sogni". Il problema è tutto nell'ambiente, un mondo rovinato. E' evidente che lo sguardo di Ferrara sulla città sia solo parziale e teso a individuare lo squallore che l'ha guastata. Per rimarcarlo il regista nativo del Bronx, che ben conosce la desolazione delle grandi metropoli, ci infila innesti di fiction piegati alla sua idea di cinema che mettono in scena faide camorristiche, carcerati che vivono in condizioni disperate, prostitute che si aggirano per la città in attesa di essere stuprate e quant'altro di orribile sporca Napoli. Non funzionano e non erano necessari, ma finiscono solo col fornire al documentario uno stucchevole senso di sommarietà. Sul resto c'è solo da riflettere e da vergognarsi tutti, almeno un po'.