Recensione Blueberry (2004)

Molto atteso dai fan della nota serie a fumetti incentrata sulle gesta dello sceriffo Mike Blueberry, questo nuovo sforzo registico di Jan Kounen ha perplesso la Francia. E non solo la Francia.

Mystic Western

Molto atteso dai fan della nota serie a fumetti incentrata sulle gesta dello sceriffo Mike Blueberry, questo nuovo sforzo registico di Jan Kounen ha perplesso la Francia e soprattutto non sembra aver conquistato i seguaci dei comics di Jean Giraud e Jean-Michel Charlier. Il film è infatti talmente lontano, come trama e atmosfere, dagli albi di Blueberry, che più di una voce si è levata a chiedere a Kounen perché, se voleva fare un film sullo sciamanesimo, ha deciso di sfruttare un soggetto che con questo argomento aveva, in principio, un legame così labile, e di spacciare il suo per un film western. Chi scrive ha sempre sostenuto l'assoluta libertà di manipolazione del soggetto nell'adattamento cinematografico, e pertanto lascerà agli esperti l'onere di stabilire quanto sia rimasto dell'originario Blueberry nell'opera di Kounen, limitandosi a parlare del film. Che comunque patisce delle scelte narrative forse troppo sopra le righe operate dal regista e sceneggiatore.

I presupposti del film si attagliano perfettamente al modello del film western cui tendeva il fumetto: c'è un eroe, un mistero nel suo passato, un delitto da vendicare, una quest salvifica. Nella versione dei fatti di Kounen, infatti, Mike Blueberry (Vincent Cassel) ha vissuto a lungo con i pellerossa a seguito del suo primo sanguinoso scontro con il "nemico" Wally Blount (Michael Madsen), ha un rapporto fraterno con lo sciamano Runi (Temuera Morrison) e cerca di mantenere pacifici i rapporti tra la cittadina di cui è sceriffo, Palomito, e le vicine tribù. Il delicato equilibrio verrà messo in crisi da un gruppo ci spregiudicati cacciatori di tesori guidati proprio dal feroce Blount, con cui il nostro ha un conto in sospeso. Peccato che il film finisca per tradire completamente questi confortevoli stereotipi western per diventare qualcos'altro. Mistico viaggio interiore? Documentario sugli effetti delle piante sacre sciamaniche sui sensi? Opera di onirismo metafisico? Non lo sappiamo, e il sospetto inquietante è che non lo sappia neanche Kounen, che difende la sua creatura dicendo che "nessuno accusa 2001: Odissea nello spazio di essere incomprensibile".

Ma il film funziona poco anche prima dello spiegarsi degli sviluppi deliranti. Cassel è fastidiosamente fuori parte, Madsen fa il Madsen, ma il suo personaggio è quello che risente di più dell'ambiguità di una sceneggiatura divisa tra banalità assolute e assurdità sconcertanti. Si salvano le musiche, indubbiamente affascinanti, compresa la parentesi canora con protagonista Juliette Lewis, che regala una delle poche scene gradevoli di Blueberry.

Movieplayer.it

1.0/5