Non lascia indifferente la platea degli addetti ai lavori la proiezione de La banda Baader Meinhof, pellicola dedicata ad un sanguinoso capitolo della storia tedesca, ovvero le gesta di un gruppo di attivisti di sinistra che, nell'arco degli anni '70 si macchiarono di attentati, rapimenti, furti e altri crimini che allontanarono irrimediabilmente le simpatie del popolo tedesco dalla causa rivoluzionaria. Il film è tratto dall'omonimo resoconto giornalistico di Stefan Aust, presente a Roma insieme al produttore-sceneggiatore Bernd Eichinger, al regista Uli Edel e agli interpreti Martina Gedeck e Moritz Bleibtreu.
Con il nuovo millennio si è imposta una sorta di rivalutazione culturale della storia della banda Baader-Meinhof. Con quale stato d'animo, voi che avete vissuto quegli anni, vi siete avvicinati a questa storia?
Bernd Eichinger: "Anzitutto posso dire che non faccio mai film - in particolare quando sono coinvolto anche come sceneggiatore - perché riguardano me direttamente. Penso che piuttosto sia il tema a sceglierti, e in questo caso semplicemente erano maturati i tempi per trattare questo argomento che certo ha una grande risonanza per noi che negli anni '70 eravamo studenti. E' vero che in parte c'è stata una trasformazione in icone di queste figure di leader, per questo noi abbiamo fatto un lavoro molto accurato sui personaggi per scoprire che già allora erano considerati icone, anzi questo era un effetto che loro cercavano in prima persona. Il film però dice chiaramente quali sono state le loro azioni criminose e non li esalta come eroi
Moritz Bleibtreu: "Per quanto possibile abbiamo fatto una enorme ricerca su questi personaggi, ma nonostante i molteplici riferimenti e le testimonianze non c'è ancora un quadro completamente chiaro.. E' una storia difficile da elaborare per la Germania. Noi abbiamo cercato di documentarci il più possibile, per sapere tutto e poi dimenticarlo subito prima di interpretare i personaggi".Martina Gedeck: "Questi sono stati personaggi che avevano degli obiettivi politici, e questo è stato importante per me più del fascino personale. Erano esponenti di un movimento d'opinione che in quegli anni era percepibile dappertutto. Ma le cose sono molto cambiate da allora."
Uli Edel: "Per noi è stato importante mettere in scena quella storia così come l'abbiamo vissuta, visto che siamo stati protagonisti di quegli anni. Si era consapevoli del fascino di questi personaggi che poi è virato verso la repulsione ed ha reso impossibile identificarsi con loro".
In Germania dopo la morte di Baader e dei suoi vi furono ipotesi diverse sull'accaduto...
Stefan Aust: "Bisogna dare una risposta precisa. Non è andata come qualcuno ancora sembra credere, non è stato lo Stato ad ammazzarli. Io sono un giornalista e il mio dovere è quello di dire la verità: si è trattato di un suicidio pianificato su cui non c'è alcun dubbio. Il mio libro è stato pubblicato nel 1985 e da allora sono emerse le testimonianze di terroristi fuggiti nella DDR che hanno confermato come sono andate le cose".La capacità di narrare gli eventi in maniera equilibrata che emerge ne La banda Beider-Meinhof è frutto di una pacificazione con la vicenda della RAF o da un grande sforzo da parte dei realizzatori?
Uli Edel: "Non abbiamo mai "fatto pace con la RAF", però è necessario confrontarsi con questa pagina di storia; c'è stato un forte e diffuso dibattito in occasione del trentennale e il tutto si è ripresentato dopo l'uscita del film. Potrà servire a fare chiarezza. Personalmente anche io ero affascinato da queste figure, ma fino a un certo punto, e credo che questo si veda nel film."
Stefan Aust: "Negli ultimi anni qualcuno ha usato la RAF per riflettere e dare risonanza alle proprie idee. Io volevo solo mostrare la realtà dei fatti e dimostrare anche che personaggi dal grande carisma potevano essere allo stesso tempo spaventosi. Però resta la tendenza a dare diverse interpretazioni della vicenda, che ha ancora una grande presa sulla fantasia collettiva".
Martina Gedeck: "Come ha già detto Moritz, abbiamo fatto moltissima ricerca e siamo partiti da quello. Abbiamo anche avuto molto tempo per prepararci, quindi non mi è sembrato particolarmente difficile. L'importante era conoscere bene i fatti e poi buttarsi cercando di avvicinarsi il più possibile alla persona reale o meglio a una possibile interpretazione di quello che è stata, nel mio caso, Ulrike Meinhof".Come mai nel film si parla poco della realtà interna della Germania in quegli anni e quella della RAF sembra un'impresa di un gruppo isolato?
Bernd Eichinger: "La banda Baader Meinhof attraversò una fase di clandestinità. Non potevano comunicare con il resto del mondo e il loro obiettivo era commettere reati gravi. Quelle causate da loro non sono state morti accidentali, c'era una volontà criminale molto forte e detestabile. Herold (il capo della polizia federale, interpretato da Bruno Ganz) aveva capito che bisognava rendere la loro azione inefficace perché lo stato lo doveva ai cittadini. A lungo andare però per lui il terrorismo andava affrontato sul piano politico e diplomatico. Il film non fa psicoanalisi e si attiene ai fatti, la vicenda di tre persone che sapevano che avrebbero finito per autodistruggersi ma hanno cercato di costruire un mito".