Molto rumore per nulla
Giuseppe Cocuzza è un funzionario statale. Tornato dalle ferie, riceve misteriosi pacchetti contenenti denaro ed è incoraggiato dall'ambiziosa moglie Francesca e dalla figlia Giulietta, adolescente inquieta tentata dalle ricchezze dei compagni, a tenerli e a spenderli al più presto. Interviene anche la sorella di Giuseppe, la petulante Livia, sedotta e abbandonata da un trapezista di incerte origini ungheresi, Fedor, che l'ha lasciata senza soldi e con un figlio un po' ritardato, Renatino. Fedor, con cui Livia ha tenuto un saltuario contatto, appena sentita la novità del misterioso pacchetto, torna da Livia e si unisce al già variopinto ménage famigliare. Per nove mesi, con cadenza regolare il giorno 27, arriva puntuale l'appetitoso pacchetto di denaro. Anche una fuga notturna alla casa del mare non salva la famiglia Cocuzza dalla ormai quasi "persecuzione" dei pacchetti.
Il povero Cocuzza, terrorizzato dalla possibilità di essere scoperto, sente aumentare la sua ansia a causa anche di improvvise visite di bizzarri personaggi: un ispettore dell'INPS che parla siciliano stretto, un postino con gravi difetti di pronuncia, un'allegra suora che a un certo punto si sbarazza dei lunghi veli per dichiarare la sua vera identità: è un uomo, Felice Cì, che ci porterà con un flashback a undici anni prima, quando aveva fatto domanda per una pensione di invalido civile scontrandosi, guarda caso, proprio col funzionarlo Cocuzza. Eccoci allora, in quel giorno di undici anni fa. Felice Cì è un comunista che, dopo il crollo del muro di Berlino, si trova privato degli ideali politici in cui aveva creduto fino a quel momento e chiede allo stato una pensione per la sua invalidità "morale". Naturalmente, la sua domanda non verrà accolta. Dopo undici anni è pronto a rendergli il servizio, sbugiardando le convinzioni di quell' integerrimo funzionario statale che era stato Cocuzza. Superfluo aggiungere che quell'esorbitante somma di denaro l'ha spedita lui per contagiare il buon Cocuzza dell'immonda brama del possesso.
Seconda solo alla categoria dei comici televisivi alle prese con il mezzo cinematografico, e anche, purtroppo, dal punto di vista degli incassi, segue la categoria "teatro filmato", genere di cui Vincenzo Salemme è un po' il capostipite.
Due categorie su cui il cinema nostrano sfortunatamente si regge, finchè esistono i produttori che investono su tale prodotto. A partire dalla agghiacciante locandina, con il maxi-titolo rosso su fondo bianco e i primi piani dei tre protagonisti che alludono con smorfia ammiccante a chissà quali rocambolesche gag, siamo di fronte al solito, petulante, noioso e prevedibile film italiano, che forse tanto piace agli italiani (a questo punto viene da chiederselo).
Dopo 91 minuti di un susseguirsi di goffe trovate all'interno di un clima plumbeo, teso, e dal pathos spesso ingiustificato, lo spettatore esce provato dalla proiezione, chiedendosi: ma che bisogno c'era di un film del genere?
Peccato che un cast così preparato e sopra le aspettative, debba sacrificarsi ad una regia scarna, piatta e inesistente, dove l'abuso del primo piano sembra esistere in virtù di zoom dalla platea, ma non restituisce forse il clima del palcoscenico. Ricordiamo, oltre ai nomi noti che affiancano Salemme in teatro (Maurizio Casagrande, Teresa del Vecchio), la straordinaria Lidia Vitale, nota al cinema per La meglio gioventù, nel ruolo di magistrato, e la giovane Federica Sbrenna, starlet di Virzì, di cui sicuramente sentiremo parlare.
Peccato anche per Salemme, che, nonostante tutto, non è proprio "l'ultimo arrivato": ricordiamo quasi un decennio di carriera con la compagnia teatrale di De Filippo, e un impegno a teatro costante, sia come attore che regista di commedie. Semplicemente, il cinema non è il suo mezzo.
La componente morale del film su cui si regge il personaggio di Felice Cì, quella della caduta dei valori (in questo caso il riferimento va alla delusione dell'ex comunista, che vorrebbe un risarcimento come invalidità morale), tristemente riesce solo a dividere una critica sempre pronta a trasformare la questione in una scaramuccia tra schieramenti.
Ironicamente, l'incontro di Salemme col cinema avviene negli anni '80, quando Nanni Moretti lo richiede come attore in Sogni d'oro, Bianca, e La messa è finita.
Peccato che, dal punto di vista cinematografico, la lezione non sia servita; andrà meglio a teatro.