Non poteva essere più attuale Acciaio. Il film tratto dal romanzo industriale di Silvia Avallone, ambientato a Piombino, viene presentato a Venezia in coincidenza con le polemiche che imperversano sui giornali a causa del caso Ilva. Due acciaierie, una a Taranto e l'altra in Toscana, due città di mare segnate dalla presenza invasiva della fabbrica, l'Ilva, nome che ritorna perché anche la Lucchini, complesso industriale al centro del film diretto da Stefano Mordini, un tempo si chiamava Ilva e Ilva è l'antico nome dell'Isola d'Elba, eden turistico che gli abitanti dei casermoni periferici che popolano la pellicola vedono dalla finestra come un miraggio proibito. E originario di Taranto è anche uno dei protagonisti di Acciaio, Michele Riondino, che quest'oggi abbiamo incontrato insieme al regista Mordini, alla collega Vittoria Puccini e alle due esordienti, Anna Bellezza e Matilde Giannini. A Venezia per presentare il film all'interno delle Giornate degli Autori è presente anche l'autrice del romanzo da cui è la storia è tratta Silvia Avallone.
La fabbrica uccide sogni, speranze e vite. Guardando Acciaio sembra che non vi possa essere un futuro.
Stefano Mordini: La fabbrica in sé non uccide, ma è il contesto esterno, la gestione di essa. Per gli operai la fabbrica è la sussistenza. La colpa, nel caso dell'Ilva così come di molte altre realtà, sono gli investimenti che sono stati fatti a monte senza pensare al benessere delle persone, ma solo al guadagno.
Come avete operato per adattare il romanzo di Silvia Avallone?
Stefano Mordini: Il romanzo era molto ricco perciò siamo stati costretti a una sintesi e abbiamo deciso di partire proprio dall'incipit, il quale dice che l'adolescenza è un'età potenziale. Nel corso della storia abbiamo cercato di approfondire questo percorso sacrificando tutto ciò che era superfluo.
Stefano Mordini: Questa scelta è dovuta al fatto che abbiamo voluto raccontare quel perimetro deliminato da casa, fabbrica, capanno e altri posti tipici della provincia frequentati dai personaggi. Abbiamo tagliato tante parti del racconto e abbiamo evitato di mostrare quelle parti della città che ci avrebbero allontanato dal tema.
Michele, tu che provieni da Taranto conosci molto bene la realtà industriale e le ricadute che le fabbriche possono avere sul territorio. Il caso dell'Ilva in questo periodo è su tutti i giornali. Questo background ti ha influenzato nella costruzione di Alessio, il tuo personaggio?
Michele Riondino: Mentre leggevo il libro mi chiedevo chi fosse realmente Alessio. Il film arriva in un momento caldo in cui si parla di inquinamento industriale, ma per me è stata un'occasione per capire molte cose. Io ho fatto studi tecnici e conosco bene l'estrazione sociale del mio personaggio, ma sono fuggito da quella realtà. Per interpretare Alessio, però, ho cercato di allontanarmi dai miei pregiudizi. Stefano mi ha convinto a raccontare la realtà degli operai dall'interno perché i miei giudizi erano di chi in una fabbrica non c'è mai entrato ed è grazie a Stefano che ho capito quanto fosse necessario capire il punto di vista degli operai per dare credibilità ad Alessio. L'unica sua ambizione è quella di crearsi una famiglia sua e quindi di mantenere intatto il suo posto di lavoro. Per questo motivo Acciaio è più attuale di quello che sta accadendo e che viene riportato sui giornali, perché affronta i problemi delle persone.
Quindi hai acquisito delle chiavi di lettura nuove anche per la situazione che sta vivendo la tua Taranto con l'Ilva?
Michele Riondino: Il film mi ha aiutato a fare pace con una certa realtà industriale, ma la situazione attuale dell'ILVA torna a farmi indignare. A Taranto la politica si sta disinteressando completamente delle persone, per i politici locali la necessità principale è quella di tirare avanti perciò gli abitanti devono continuare a respirare diossina.
Vittoria Puccini: Io ho voluto partecipare a questo film per lavorare con Stefano. Avevo letto il romanzo e mi era piaciuto molto, mi divertiva l'idea di diventare uno dei personaggi. Così io e Stefano ci siamo messi a tavolino e abbiamo parlato tanto. La prima necessità è stata quella di modifcare la classe sociale di Elena. Nel romanzo la ragazza è descritta come un'aliena che ben poco a vedere con l'ambiente operaio visto che proviene da una famiglia benestante. Stefano sentiva la necessità di vederla più dentro alla realtà del film. Quando mi sono rivista il personaggio mi ha dato un'idea di pesantezza, soprattutto in confronto alle due protagoniste.
Mentre giravate avete vissuto Piombino? Quale è stata la risposta della città?
Michele Riondino: C'è stata proprio la richiesta di fare questo film e l'aderenza al territorio è stata fondamentale. Così ho scelto di vivere vivere la città, di compiere il percorso dei piombinesi dalla casa alla fabbrica. I luoghi sono i soliti, quelli di ogni realtà di una provincia industriale e gli spostamenti sono geometrici. Abbiamo potuto vivere i ritmi della fabbrica, ma anche i ritmi sociali, la movida piombinese notturna.
Stefano Mordini: Noi abbiamo scritto il film a Piombino e siamo stati sei mesi lì con gli sceneggiatori. In questo periodo abbiamo avuto modo di spiegare alle autorità cosa avremmo fatto e loro lo hanno compreso. Molta gente di Piombino ha partecipato alle riprese. Il romanzo di Silvia aiuta molto a immaginare gli ambienti, ma poi devi entrare nella situazione così io ho voluto i vari aspetti della città, il mare e la fabbrica.
Per voi protagoniste questa è la prima esperienza cinematografica. Voi siete entrambi piombinesi. Come avete vissuto il set?Matilde Giannini: Io personalmente avevo sia paure che aspettative. Recitare è una cosa diversa da ciò che faccio normalmente. Ero molto felice di avere questa opportunità che non capita a tutti, ma ero anche molto spaventata. Mi sono buttata in questa esperienza senza rifletterci troppo.
Anna Bellezza: Io ero contenta perché mi sembrava una bella esperienza da vivere. Mi sono sempre chiesta cosa si prova a fare il film e ho scoperto che è un lavoro molto bello, faticoso, ma che dà soddisfazione.
Silvia, prima il Campiello e poi la Mostra del Cinema. Venezia ti porta fortuna.
Silvia Avallone: Se ripenso a tutto quello che mi è accaduto devo confessare che non me l'aspettavo, ma considerando la determinazione che ci ho messo sono felice del risultato. Quando ho scritto il libro ero molto arrabbiata perché volevo che si parlasse di lavoro. Dieci anni fa sui media questo argomento non era mai trattato. Sembrava che la fabbrica non esistesse più, nessuno rifletteva sulla situazione dei giovani e io che andavo al mare insieme agli operai e ai figli di operai volevo raccontarli. Ora la situazione è cambiata, qualcosa è successo e si parla di precariato, ma non si dà una soluzione al problema.
Tu hai collaborato alla sceneggiatura. Cosa si prova a vedere la propria opera modificata, i tagli e le omissioni?
Silvia Avallone: Io sono stata molto fortunata perché ho avuto subito un bel dialogo con Stefano e con la co-sceneggiatrice Giulia Calenda. Ci siamo trovati subito d'accordo sul fatto che l'urgenza fossero le due ragazze, perciò abbiamo sacrificato personaggi come le due madri per concentrarci sull'adolescenza. Per me, però, il film è fedelissimo allo spirito del libro. C'è stato un lavoro di spostamento temporale che però era necessario.
Stefano Mordini: Non abbiamo trovato grandi difficoltà lavorando sul territorio. La difficoltà principale è stata lavorare dentro la fabbrica. C'è un rumore di fondo incredibile che ti fa perdere i riferimenti con la realtà. La polvere, alla fine, ti appesantisce le spalle, è un lavoro che ti piega. La prima volta che entri in fabbrica percepisci la sua maestosità, resti affascinato. La produzione dell'acciaio non si può mai fermare, è un ciclo continuo. A Piombino abbiamo visto che si è investito per salvaguardare la popolazione e questo ha aiutato un po' la situazione, ma resta il problema dell'inquinamento e della salute degli operai. La fabbrica richiede un impegno umano enorme, grandissimo. Un piccolo errore si paga con la morte, come si vede nel film.
Anna, Matilde, chi saranno tra dieci anni i vostri personaggi?
Anna Bellezza: Nonostante la loro forte amicizia, crescendo prenderanno strade diverse, ma credo che rimarranno amiche per sempre.
Matilde Giannini: Spero che riescano a dare un senso alla loro vita, a realizzare le loro ambizioni anche se hanno fatto scelte diverse.
Una delle scene più complesse da girare è quella tra Alessio e Francesca che si svolge nel night club. Come siete riusciti a creare la necessaria emotività?
Michele Riondino: Stefano ci aveva preparati molto bene per tutte le scene del film perciò anche se lì per lì non è stato facile realizzare la scena avevamo tutto chiaro. Il film ha anche dei risvolti molto fisici sia nella scena del night che in quelle tra Alessio e la sorella Anna, che sono molto uniti. A me piace lavorare col corpo, creare il personaggio a livello fisico, ma forse per Anna e Matilde questo è stato lo scalino più difficile da superare. Quando io e Anna Bellezza siamo arrivati sul set per girare la scena del night lo abbiamo fatto con atteggiamento sincero, privo di malizia e totale apertura. Io amo improvvisare e con Stefano c'è stata la possibilità di farlo. Lui comunque mi aveva avvertito. Prima di incontrare Anna mi aveva detto che, se le fossi piaciuto, me ne sarei accorto subito altrimenti mi avrebbe trattato male. Però per realizzare la scena abbiamo lavorato molto sugli sguardi, sul magnetismo e sulla fisicità.
Michele, ora quali saranno i tuoi prossimi progetti?
Michele Riondino: Adesso ho deciso di dedicarmi per un po' di tempo al teatro. Sto preparando uno spettacolo scritto da Marco Andreoli della mia compagnia. Si intitola Siamosolonoi e non ha niente a che fare con Vasco Rossi. Debutteremo a Genova il 31 ottobre e poi gireremo l'Italia.
Pensi che il film sia utile anche a interpretare la situazione industriale presente?
Michele Riondino: Acciaio è una storia romanzata, quindi non ha valore documentaristico. La verità della fabbrica sta nel rapporto dell'operaio con il macchinario. Io ho avuto la possibilità di vivere da dentro la fabbrica, i turni. Mi ha colpito il tentativo di responsabilizzare fin da subito l'operaio facendogli capire che ogni errore è solo suo. Servirebbero documentari e altri film per accrescere l'interesse incondizionato sulla realtà. Ora lo scandalo Ilva sta facendo scalpore, ma quelli che voi chiamate scoop sono verità di popolo. Noi che conosciamo la situazione ne eravamo già al corrente. Il tentativo adesso è quello di creare numeri che vadano a contrapporsi con la prima perizia. Il mio terrore è che si voglia perdere tempo, cercare polemiche sul Gip, sulle perizie, facendo passare altro tempo senza risolvere nulla.
State pensando di fare un documentario sul tema dell'industria?
Stefano Mordini: Si, ci stiamo pensando proprio per quello che dice Michele. In Italia non c'è memoria storica e si arriva sempre tardi. Sembra che le cose accadano tutte per la prima volta. A questa situazione noi possiamo opporre la forza del cinema che ha il potere di riuscire a storicizzare gli eventi.