Non dimenticherà facilmente la data del 21 ottobre 2011 Michele Rho, regista milanese, allenatosi per tanto tempo nella nobile palestra dei cortometraggi, e adesso finalmente pronto per un debutto cinematografico in grande stile. Venerdì prossimo, infatti, esce in tutta Italia il suo primo film, Cavalli, tratto dall'omonimo romanzo di Pietro Grossi e prodotto da Rai Cinema, Gianluca Arcopinto e Settembrini Film e distribuito da Lucky Red. Una storia particolare quella narrata nell'opera del cineasta meneghino, presentata nella sezione Controcampo Italiano all'ultimo Festival di Venezia; una favola ricca di suggestioni su due fratelli, Alessandro e Pietro, profondamente uniti, nonostante le forti differenze caratteriali, dall'amore e dal rispetto che provano nei confronti dei propri cavalli, splendide creature selvagge, simbolo di libertà. Se il primo, più ardimentoso e passionale (il bravo Vinicio Marchioni) vuole disperatamente imporsi al di là delle montagne, cercando fortuna lontano dal borglo natìo, il secondo (Michele Alhaique) cerca di diventare un allevatore di cavalli, accompagnato in questo percorso dall'amata Veronica (Giulia Michelini). Siamo nella Toscana di fine '800 e ogni sentimento sembra essere amplificato, in piena empatia con una natura selvaggia e lussureggiante, ideale palcoscenico per le vicende di questi giovani uomini legati da un affetto profondo che li farà ritrovare in diversi momenti della loro vita. Quando il padre muore, ad esempio, o quando un losco signorotto locale tenta in tutti i modi di bloccare la nascente (e fiorente) attività di Pietro. Dell'iter che ha portato alla realizzazione di Cavalli abbiamo parlato proprio con il regista.
Michele, come mai per il suo debutto dietro alla macchina da presa hai scelto proprio questa storia. Cosa ti ha interessato maggiormente nel romanzo di Pietro Grossi, un racconto d'altri tempi che sembra così distante (apparentemente) dalla frenesia della nostra epoca.... Michele Rho: Ciò che mi ha interessato fin da subito del libro di Pietro Grossi è stata la semplicità e la forza del racconto: i personaggi sembrano scolpiti nella pietra. Nonostante sia una storia ambientata a fine 800 io credo abbia una forte valenza contemporanea perchè parla di noi, dell'essere umano affrontando tematiche universali come la fratellanza, il rapporto genitori-figli, la morte, il perdono, la rabbia e la disperazione.I paesaggi della Toscana sono bellissimi e ancora di più il modo di riprenderli. C'è stata una sorta di ispirazione pittorica che ti ha 'guidato'?
Il paesaggio dopo Pietro/Alessandro e i cavalli è il terso protagonista del racconto. Fin dall'inizio dunque ho deciso di sottolinearne l'importanza. Prima di girare mi sono rivisto i film di John Ford, non tanto per la componente western ma per l'utilizzo "drammatico" che fa del paesaggio: come il paesaggio riflette o contrasta lo stato d'animo dei personaggi. Altra fonte d'ispirazione sono state le fotografie di Ansel Adams: un fotografo americano celebre per i suoi scatti in bianco e nero dei parchi nazionali americani.
Citando John Ford hai anticipato la domanda successiva. Ha mai pensato ai western come modello per il suo film?
Nel racconto, nella sceneggiatura e nel film ci sono rimandi ed atmosfere che richiamano senz'altro al genere western. Ma io ho sempre voluto tenermene alla larga, non perchè non ami questo genere ma piuttosto perchè lo ritenevo pericoloso. Non volevo che questa etichettatura assorbisse e semplificasse la storia che andavo a raccontare. Ho evitato dunque di usare cappelli, pistole (laddove non necessario) e jeans.
Chiaramente è stato un onore per me collaborare con Andrea Occhipinti che da cinefilo è sempre stato un mio mito personale con la sua Lucky Red. Andrea fin dall'inizio, sposando il progetto, ha dato prestigio e credibilità maggiore al film.
Cosa ti aspetti dal grande salto al cinema?
Non lo so. Ciò che mi auguro e che questo film possa essere visto dal maggior numero di persone possibile.