Recensione Il messaggero - The Haunting in Connecticut (2008)

Il film di Peter Cornwell si mantiene asciutto dal punto di vista visivo ed efficace nel ricercare l'inquietudine di fondo, piuttosto che il facile spavento improvviso, che, pur non mancando, non rappresenta l'unica arma alla portata degli autori.

Messaggi da un macabro passato

La dicitura tratto da una storia vera rappresenta spesso un valore aggiunto per i film dell'orrore; non importa quanto fedele alla realtà sia la storia raccontata sul grande schermo e quanto spazio si lasci alla libera interpretazione dell'autore ed alla spettacolarizzazione della storia reale a cui ci si ispira, il brivido che corre lungo la schiena dello spettatore diventa spesso altrettanto reale.
Ancor di più se il film che si prende la briga di mettere in scena quegli eventi è anche ben realizzato, come nel caso de Il messaggero - The Haunting in Connecticut, che giunge nelle sale italiane alla fine di agosto per regalare un brivido agli appassionati del genere, ormai avvezzi alla consuetudine nostrana degli horror estivi. A differenza delle pellicole di genere che spesso sbarcano in Italia in questo periodo, ci troviamo di fronte ad un film d'orrore più classico nello stile e non un teen horror, nonostante uno dei protagonisti sia proprio un adolescente.

Si tratta di Matt, ragazzo malato di cancro ed in cura in un centro del Connecticut lontano da casa; una distanza che costringe lui e la madre Sara a continui viaggi, lunghi e faticosi, da e per l'ospedale; una distanza che alla lunga fa nascere l'esigenza di fare un ulteriore sacrificio economico e prender casa sul posto, per evitare di aggiungere maggior stress e fatica al già debilitato ragazzo. I Campbell, questo il cognome della famiglia di Matt, non navigano certo nell'oro, quindi non deve meravigliarci la rapidità con cui Sara conclude l'affitto di una grossa casa vecchio stile una volta capitatale l'occasione di prenderla a prezzo di gran lunga inferiore al suo evidente valore commerciale. Il motivo, a detta dell'uomo che gliela mostra, è che la casa "ha una storia" che la rende poco appetibile sul mercato.
E questa storia inizia a venire a galla non appena la famiglia si insedia nella grossa abitazione, usando proprio il giovane Matt come tramite per comunicare il suo messaggio verso il mondo, finchè non sarà proprio il ragazzo a trovare una soluzione al problema con l'aiuto di un altro malato terminale, il reverendo Popescu.
E' il dramma di Matt e di tutta la famiglia Campbell a fungere da nucleo portante di The Haunting in Connecticut, un dramma che precede quello puramente horror della storia che ci verrà raccontata nel corso del film. Il regista Peter Cornwell è bravo a dare spazio a questo aspetto fin dall'inizio, inserendo gli elementi horror in un contesto già forte dal punto di vista narrativo, sfruttando l'ambiguità dovuta alla malattia di Matt e la sua cura, che lo rende soggetto ad allucinazioni, per tenere lo spettatore incerto sull'effettiva realtà di quello a cui sta assistendo.
Non si tratta certo di una storia originale, nè tantomeno Cornwell si sforza di renderla tale con lo stile visivo scelto; anzi, il regista si sforza per quanto possibile oggi, di mantenersi il più possibile classico nel suo approccio alle scene più puramente horror, non diverso per esempio da Amityville Horror del 1979, scivolando solo raramente in un'estetica più moderna e da videoclip. Il messaggero si mantiene quindi asciutto dal punto di vista visivo ed efficace nel ricercare l'inquietudine di fondo, piuttosto che il facile spavento improvviso, che, pur non mancando, non rappresenta l'unica arma alla portata degli autori.
Naturale conseguenza di aver messo al centro della narrazione la storia ed i suoi protagonisti è l'aver scelto un cast di buon livello, capace di dar vita alla vicenda con sicurezza e profondità. E' soprattutto la protagonista femminile, Virginia Madsen, a fornire una prova di tutto rispetto nel ruolo di Sara Campbell, la madre in pena per il figlio che si spegne lentamente, ma si impone al suo fianco Kyle Gallner nel ruolo di Matt, giovane ma già con molte esperienze televisive alle spalle (Smallville, Veronica Mars, CSI: New York, Big Love), e pronto a cimentarsi ancora una volta nel genere horror nel prossimo remake di A Nightmare on Elm Street; nè sfigurano gli altri comprimari, da Elias Koteas nel ruolo del reverendo, nè i membri più giovani della famiglia.

Per la sua capacità di mettere in scena una storia, non originale ma ben raccontata, il film di Cornwell può essere apprezzato anche al di fuori della ristretta cerchia di appassionati del genere e può essere una valida alternativa per una serata di quest'ultimo scorcio di estate, che si è trascinata via senza particolari scossoni dal punto di vista cinematografico.

Movieplayer.it

3.0/5