Con l'uscita di Apocalypto nelle sale si torna a parlare di Mel Gibson, uno dei personaggi più controversi e contraddittori del cinema americano: anche stavolta l'uscita del film dell'attore e regista di Braveheart - cuore impavido è preceduto dalle polemiche, come era già accaduto - che se in misura maggiore - per La passione di Cristo. Nel nostro paese in particolare, ha fatto discutere la scelta di non vietare Apocalypto ai minori, una decisione che tra l'altro ha puntato i riflettori sui gravi problemi relativi alla censura in Italia. Il nostro Paese è infatti l'unico nel quale il film di Gibson non è stato vietato. In ogni caso, anche stavolta il regista è riuscito a far parlare di se ed a far scrivere fiumi d'inchiostro sulle contraddizioni del suo personaggio.
Per riuscire a tracciare un ritratto completo dell'attore e regista americano, bisogna risalire alle sue origini ed in particolare al suo background familiare: figlio di Hutton ed Annie Gibson, il giovanissimo Mel si trasferì con la sua numerosa famiglia dalla nativa New York all'Australia, dove concluse gli studi e iniziò a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo. Suo padre Hutton motivò il trasferimento sostenendo che i cambiamenti sociali in America secondo lui erano immorali. Hutton è un cattolico tradizionalista e ideologo di un movimento religioso che rifiuta i rinnovamenti apportati alla Chiesa Cattolica dal Concilio Vaticano Secondo, ed inoltre è un negazionista, ovvero sostiene che i dati storici sull'Olocausto siano inventati.
Se nei primi anni della sua carriera Mel Gibson è stato l'interprete di numerose pellicole d'azione come il franchise di Arma Letale, grazie alle quali si è conquistato un'enorme popolarità e l'immagine pubblica di uno dei più strepitosi sex-symbol degli anni '80; appena decide di espandere i propri orizzonti artistici passando dietro la macchina da presa inizia a sollevare polemiche sui contenuti delle pellicole da lui dirette, ma soprattutto sulle sue dichiarazioni rilasciate nelle interviste. Se con Braveheart da un lato riuscì ad ottenere un forte consenso di pubblico, e numerosi riconoscimenti tra cui due Academy Awards, dall'altro dovette difendersi dalle accuse di anglofobia, dovute alle libertà storiche che il regista si era preso nel raccontare le vicende del film.
Le accuse più gravi però gli furono mosse in occasione dell'uscita de La passione di Cristo: il regista fu accusato di antisemitismo e il fatto di essere figlio di Hutton Gibson diede spessore alle argomentazioni dei suoi detrattori; ma nonostante il regista abbia negato con forza di essere antisemita, si è tornato a parlare delle sue posizioni sull'argomento quando l'estate scorsa è stato arrestato in California per guida in stato di ebbrezza. Secondo la polizia Gibson avrebbe rivolto pesanti offese antisemite agli agenti che l'avevano fermat; nei giorni successivi il regista fu costretto a scusarsi pubblicamente con la comunità ebraica.
Con La passione di Cristo Gibson iniziò a costruirsi la fama di regista provocatorio: a far discutere non sono solo le polemiche sui contenuti del film, ma anche il modo in cui è stato concepito, in particolare la scelta di distribuire la pellicola - che era recitata in aramaico - interamente sottotitolata, e soprattutto la scelta di raccontare i supplizi cui fu sottoposto Gesù senza alcuna mediazione, ma portando sul grande schermo tutto il sangue versato durante il suo martirio. Due scelte che avrebbero potuto affossare qualsiasi pellicola, ma che con un sapiente e massiccio lavoro di battage pubblicitario trasforomano il film di Gibson in uno dei film più visti e chiacchierati della stagione. Lo strategico avvicinamento del regista alla Chiesa cattolica, che approva il suo film senza però sbilanciarsi eccessivamente e il clamore mediatico suscitato dal film portano La passione di Cristo in vetta al box office.
Ad alimentare il fuoco delle polemiche si aggiunge l'atteggiamento contraddittorio di Gibson: una profonda religiosità che stride con dichiarazioni violentissime nei confronti dei suoi critici. In un'intervista al magazine Playboy dichiarò che l'autore di una sua biografia non autorizzata meritava di morire; e cose ancora più gravi furono dette su Frank Rich, critico del New Yorker che accusava La passione di Cristo di essere un film antisemita. Nonostante questo però Gibson sostiene di essere un perseguitato, ed in un'altra intervista ha affermato che i suoi diritti umani erano stati violati dagli attacchi al vetriolo sulla sua persona, sulla sua famiglia e sulla sua religiosità.
La formula vincente che aveva portato La passione di Cristo al successo viene ripetuta per Apocalypto: tante scene violente, ed ancora una volta la scelta di far recitare gli attori nella lingua maya, lo yucateco. Ancora una volta Gibson è nell'occhio del ciclone, anche se siamo lontani dal clamore suscitato dal film precedente. Il film è ambientato durante l'ultima fase della civiltà Maya, che Gibson racconta senza risparmiarsi in violenze e atrocità come sacrifici umani e decapitazioni, la fine di un era che viene segnata dal regista con l'arrivo del Cristianesimo nella penisola messicana dello Yucatan. Stavolta a scagliarsi contro l'opera di Gibson sono gli storici, ma soprattutto i discendenti maya, che hanno visto i loro avi interpretati da attori di origine pellerossa e dipinti come esseri disumani. Il regista quindi è stato già accusato di razzismo e di essere ossessionato dalla violenza: ed è solo l'inizio. Chissà però se la strategia di lancio adottata per i suoi ultimi film continuerà a portargli fortuna in futuro.