C'era una volta il Super Robot. Nato dalla geniale quanto fortunata ispirazione di Go Nagai di piazzare un pilota direttamente alla guida del gigantesco automa Mazinger Z, il genere è stato per anni l'avanguardia dell'animazione seriale giapponese. Per quanto nello stesso Giappone, dove è nato e dove si è evoluto in incarnazioni via via più complesse e realistiche, il genere sia attualmente in declino, con pochissimi brand ancora in produzione (Gundam su tutti), è evidente che rappresenti, ancora oggi, un riferimento importante nell'immaginario collettivo, non solo nipponico. Più volte gli americani hanno provato a riadattare il genere, declinandolo secondo il loro gusto, con omaggi più o meno palesi e riusciti alle controparti nipponiche. E Mech Cadets, la nuova serie animata in CGI di cui vi parliamo in questa recensione, ora disponibile su Netflix, ne è un discreto esempio.
Robot, alieni e giovani piloti
La Terra è stata attaccata da una razza aliena, gli Sharg. Questi esseri mostruosi hanno messo a dura prova la sopravvivenza dell'umanità, almeno fino a che, sempre dallo spazio, non è giunto un aiuto inaspettato sotto forma di esseri cibernetici e senzienti, i Robo. Ogni Robo si lega a un giovane pilota e diventa il suo compagno, oltre che un formidabile combattente nella lotta contro gli Sharg. Grazie ai Robo, la prima ondata è stata respinta e gli esseri umani hanno potuto rafforzare le proprie difese e iniziare un piano di addestramento per la nuova generazione di piloti, i Mech Cadets. Ora facciamo la conoscenza del giovane Yu Stanford, apprendista meccanico con il sogno di diventare uno dei Mech Cadets e onorare così la promessa fatta al padre.
Nonostante la buona volontà e un cuore d'oro, però, Stanford non è riuscito a passare il test di selezione ed è costretto a rinunciare al suo sogno, fino al giorno in cui, per un caso fortuito, non entra in contatto con un Robo appena precipitato sulla Terra e non stringe col suo nuovo compagno un profondo legame.
Dopo averlo ribattezzato Buddy, Stanford e il suo Robo vengono così ammessi tra i Mech Cadets, anche se questo fa infuriare la più ambiziosa e tenace delle cadette, Olivia Park, figlia del comandante della base, che invece non è riuscita a stringere il legame con nessun Robo.
Stanford dovrà riuscire a trovare il suo posto nella nuova realtà, adattarsi alla vita (e all'etica...) militare e cercare di capire lo strano potere del suo Buddy, mentre gli Sharg sembrano sul punto di catenare una nuova e terrificante offensiva.
Per l'umanità, a ogni costo
Mech Cadets nasce come serie a fumetti pubblicata dal Boom! Studios e creata dallo sceneggiatore Greg Pak, che gli appassionati di comics conoscono bene grazie alla sua run su Hulk. Il fumetto è un omaggio, abbastanza dichiarato, a tutti gli elementi fondamentali del genere, con la contrapposizione, via via più profonda, tra lo spirito e il cuore dei giovanissimi piloti e la fredda, e spesso spietata, volontà dei vertici militari. Conflitto che diventa evidente nel complicato rapporto tra i due giovani protagonisti: Stanford e Olivia (rispettivamente doppiati in originale da Brandon Soo Hoo, in Italiano da Giulio Bartolomei, e Victoria Grace, Luisa D'Aprile in italiano). Se tra i due le cose sono a dir poco complicate, lo stesso vale per i rispettivi genitori, ovvero il generale Park e Dolly Yu, accorata madre di Stanford e addetta alle pulizie della base. Nonostante a dare la voce a questi personaggi siano stati chiamati due attori di buon calibro come Daniel Dae Kim e Ming-Na Wen, rimane il problema di dialoghi stereotipati e prevedibili, che risultano spesso artificiosi quando non addirittura forzati.
Pe fortuna si tratta di un difetto non particolarmente grave, soprattutto considerato che la serie è principalmente rivolta a un pubblico di giovanissimi.
In quest'ottica, è addirittura ammirevole il tentativo di proporre delle dinamiche interpersonali più complesse e articolate, che aggiungono spessore e profondità alle vicende belliche. La storia, infatti, procede in maniera scorrevole tra l'addestramento dei piloti, seguito dal veterano Capitano Tanaka, l'amicizia difficile tra i cadetti e il mistero dietro il conflitto tra umani e i misteriosi Robo, da un lato, e i terrificanti Sharg dall'altro.
A corollario di questo scontro, poi, ci sono i piani -non proprio leciti- del Generale Park per trovare un'alternativa valida all'uso dei Robo, visto che da un punto di vista militare non è ottimale, giustamente, pover fare affidamento solo sui Robo, una forza di cui si ignorano origine e scopi e che, soprattutto, può essere utilizzata solo da adolescenti, per quanto questi possano essere preparati e addestrati (altro elemento ricorrente nel genere).
I dilemmi etici tra i vari protagonisti, le loro emozioni e i loro desideri vengono così sviluppati e messi a dura prova durante le dodici puntate di questa prima stagione, con momenti anche abbastanza riusciti e personaggi tutto sommato ben delineati pur nei loro stereotipi.
Nuovo target, cuore di vecchi robot
Dal punto di vista tecnico Mech Cadets è purtroppo abbastanza altalenante: il design dei personaggi e degli Sharg è ben riuscito, molto meno quello dei Robo, che restano sempre abbastanza anonimi. Le animazioni sono nella media dei prodotti del tipo, con una regia, firmata da Tohru Patrick Awa, che non trova mai un guizzo particolare e si accontenta di accompagnare la progressione degli eventi, con l'unica trovata artisticamente rilevante di raccontare i vari flashback con un'animazione tradizionale, più vicina allo stile del fumetto originale.
Il vero difetto di Mech Cadets, però, è che tutta la serie è fortemente derivativa. Giusto per fare qualche esempio: il design del volto di Buddy è palesemente ispirato al Bumblebee dei Transformers, e gli Sharg sembrano venire di peso da Starship Troopers. Il sistema di contatto e scambio mentale tra piloti e Robo urla Pacific Rim e Gen:Lock a pieni polmoni, o ancora, se vogliamo scendere in dettagli da veri otaku del genere, il sistema di volo dei Robo, che potrebbe sembrare una bella trovata, è in realtà ripreso paro paro da Overman King Gainer, una delle opere meno conosciute del creatore di Gundam, Yoshiyuki Tomino, e così via.
Nonostante non abbia nulla di originale, però, la serie scorre in maniera piacevole, e potrebbe essere una visione gradevole per le nuove generazioni che, magari, di Goldrake e Mazinga hanno solo sentito parlare.
Conclusioni
Mech Cadets ci ha piacevolmente sorpreso, come evidenziato in questa nostra recensione. Non riesce ad eccellere in nessun elemento, è fin troppo derivativo e la realizzazione tecnica è appena sufficiente. Ma, come i suoi protagonisti, ci mette il cuore senza mollare, e prova a raccontare una storia fatta di relazioni complicate, di dilemmi morali e decisioni da prendere. E poi ci sono i robot giganti che picchiano gli alieni, certo.
Perché ci piace
- La storia è più profonda di quanto non sembri.
- Le dinamiche tra i personaggi funzionano bene.
- Alcune scelte di design e stilistiche sono interessanti.
Cosa non va
- Non ci troverete un grammo di originalità.
- Tecnicamente è appena passabile.