Un'attrice rock, punk o "anomala" per usare l'espressione con cui l'ha definita Daniela Persico durante la serata inaugurale del Bellaria Film Festival (in programma dal 10 al 14 maggio), dove Maria Roveran, classe 1988, e un percorso artistico fino a ora diviso tra teatro, musica e set, è giurata insieme a Michelangelo Frammartino e Alessandro Del Re nella sezione "Gabbiano" composta da anteprime assolute di opere al confine tra finzione e cinema documentario. Siamo nella casa del cinema indipendente che quest'anno spegne 41 candeline nel bel mezzo di una tempesta perfetta: gli spazi, complici le piattaforme e la fatica di riportare il pubblico in sala, sono sempre più ristretti, ma qui al Bellaria la sensazione è che la gente "abbia fame". Roveran ne è profondamente convinta, "il cinema indipendente fa cultura", dice, ed è anche quello che ha segnato profondamente la sua carriera: dagli esordi con Alessandro Rossetto in Piccola Patria a I nostri ieri di Andrea Papini.
Nel frattempo è stata anche una donna alle prese con il desiderio di un figlio in una coppia omogenitoriale in Mamma + mamma, o la ragazza tenuta prigioniera in una gabbia nell'Italia post apocalittica de La terra dei figli. Attrice eclettica e non solo: scrive tanto (è a lavoro sulla scrittura di un film), è autrice di alcuni brani musicali (come la colonne sonore di Effetto Domino e Piccola Patria) e canta usando spesso i dialetti e le lingue, "ho cantato in cinese, scrivo i testi, li faccio tradurre, poi imparo la lingua e li canto". Il 25 maggio a Mestre la aspetta un concerto in lingua cimbra, nato all'interno di un progetto sul cimbro, idioma quasi in estinzione, che oggi sopravvive solo all'interno della piccola comunità di Luserna, in provincia di Trento. Nel 2024 la ritroveremo nella seconda stagione di Black Out, fiction Rai con Alessandro Preziosi andata in onda lo scorso inverno. Intanto a Bellaria dove la incontriamo si prepara a godersi il buio della sala e i film della sezione di cui è giurata.
Il cinema indipendente e la difficoltà di sfuggire agli stereotipi
Che tipo di lavoro farete insieme a Frammartino e Del Re con cui condividerai il ruolo di giurata?
A differenza che in altri festival dove di solito mandano i link, li vedrò tutti in sala e per me è un piacere immenso perché la fruizione è totalmente diversa. Stamattina ho incontrato Michelangelo Frammartino e Alessandro Del Re e ci siamo già organizzati su come gestire il tutto per confrontarci alla fine delle proiezioni. Per il percorso fatto come attrice e per il tipo di cinema che ho avuto modo di vivere a livello lavorativo, cioè quello indipendente, ciò che guardo in un film è il lato tecnico sicuramente, ma non solo: contano il messaggio, la narrazione, la relazione tra i personaggi. Uno degli aspetti che mi affascina di più è quanto il cinema riesca a emozionare e far riflettere, a muovere lo spettatore. Cercherò di astrarmi anche se in parte sono una spettatrice, ma mi interessa soprattutto il confronto con i miei colleghi e le loro visioni, condividendo con loro riflessioni, emozioni e considerazioni. La cosa più bella di far parte di una giuria è proprio la capacità di mettersi in discussione e sentiamo tutti un po' tutti la grande responsabilità di dover valutare il lavoro degli altri, conosco le fatiche che sottendono alla realizzazione di ciascun film e quindi non vorrei mai che fosse in balia del mio sentire personale. I festival come questo nascono come momento di incontro, di concertazione e di confronto, e poi sono luoghi in cui hai la possibilità di poter vedere dei lavori pazzeschi che probabilmente in altri contesti si fa fatica a vedere, perché il tessuto distributivo del cinema indipendente è particolarmente complesso e claudicante.
Il tuo percorso artistico è stato fortemente segnato dal cinema indipendente. Che ruolo ha avuto nella tua carriera di attrice?
Per me come per qualsiasi altro artista non è facile essere catalogati o inseriti in una categoria, come ad esempio il cinema indipendente, il rischio è di essere segnati a vita con un'etichetta che ti costringe a fare solo quello. Partecipo a progetti spesso molto diversi, ma non faccio solo cinema indipendente anche se ne faccio molto. Vengo da quel percorso che sicuramente rispetto ad altri mi appartiene di più a livello creativo, ma non è facile da gestire nella pratica della quotidianità e a volte penso che sarebbe molto più facile essere un'attrice collocabile in lavori mainstream perché garantiscono dei benefici evidenti. E non parlo di fama e notorietà, non ne sono particolarmente affascinata, intendo a livello pratico. Non è facile far capire al pubblico che cosa significhi fare questo lavoro in un momento in cui il cinema indipendente subisce anche tante restrizioni, è faticosissimo mettere concretamente in campo le forze per realizzare un film indipendente. Tuttavia oggi mi rendo conto che esiste una parte di pubblico che dà valore a quello che faccio, questo mi dà molta forza, mi incoraggia ad andare avanti anche nei momenti no in cui mi dico "Basta con questo lavoro". Mi aiuta a vedere che il cinema indipendente ha un valore per le persone, è incoraggiante sapere che c'è una fame di questo tipo, un desiderio di incontro e di approfondimento. Il cinema indipendente fa cultura, fa formazione e informa.
Quante volte hai detto no? Te ne sei pentita?
Mi è capitato soprattutto perché si accavallavano delle cose e quindi sono stata costretta a scegliere, ho un altissimo senso del dovere e della responsabilità nei confronti di registi e dei lavori che scelgo di fare. Mi è quindi spesso successo di rifiutare delle proposte più forti per rispettare la parola data e me ne sono anche pentita, quello però di cui non mi pento è l'essere onesta con me stessa e con le persone a cui sento di voler dare onestà e fiducia. Altre volte invece non sono stata scelta, nella maggior parte dei casi per i tratti somatici o perché non ho ancora un nome forte per il cinema. E questo sì, è faticoso.
Una fisicità che ti ha spesso legato a un certo tipo di storie. È il problema di procedere per stereotipi...
Fortunatamente a teatro mi hanno permesso di partecipare a progetti in cui sono riuscita a sperimentare lati completamente diversi come la sensualità o l'ironia. Sono stata incanalata in un percorso di cinema d'autore, la classica attrice drammatica, anche sul set sono la più cazzona di tutti. Il rischio di questa associazione è di farti perdere poi delle possibilità creative, se sei un'attrice dovresti saper fare tante cose, e non lo sei quando fai solo e sempre quello da anni. Certo, c'è anche chi ci ha costruito una carriera su questo, ma non è quello che cerco e lo dimostrano i tipi di progetti che faccio, così diversi tra loro. Si punta alla facilità, sull'associare dei nomi a delle facce, dei sentimenti, delle emozioni a pacchetto.
Sei riuscita liberartene qualche volta?
Sì, in un film indipendente che si chiama Beate dove interpreto una suora un po' maldestra, un ruolo da commedia soft, carina, molto leggera. Mi sono divertita tantissimo, ho creato una complicità con Donatella Finocchiaro e Lucia Sardo, è stato molto divertente. A teatro invece ho avuto tantissime possibilità dalla prostituta alla scemetta di turno, a L'opera da tre soldi; ho lavorato con I tre allegri ragazzi morti su un progetto indipendente, punk rock. Mi piacerebbe che ogni tanto la gente si prendesse la libertà di osare un po' di più, di approfondire e andare a ricercare qualcosa che non sia l'evidenza di quello che è già stato. Ma purtroppo viviamo per essere rassicurati sempre e dovunque anche nell'arte; si cerca di rassicurare lo spettatore, quando in realtà l'arte è un'ottima occasione per andare oltre la rassicurazione e sfidarci. Se mi chiedessero di fare un film a luci rosse, forse lo farei, mi piacerebbe partecipare a un progetto totalmente legato al corpo, inteso non come pornografico, ovviamente. Mi metterei subito in gioco.
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Oltre la recitazione tra musica e scrittura
Il tuo lavoro sui personaggi è estremamente fisico...
Mi alleno costantemente, anche con la voce e cerco di attivare i sensi no. Da ragazzina somatizzavo molto e questo mi ha spinto ad ascoltarmi moltissimo, forse è da questo disagio che arriva il mio interesse per la fisicità. Ci sono dei momenti in cui sento il mio corpo chiudersi e allora lo assecondo, ho bisogno che si chiuda, che sedimenti e poi ce ne sono altri in cui invece sto sul set o teatro e sento addosso tutto il processo per arrivare ad essere completamente animale. Anche una voce è un corpo che si muove, lo è ad esempio una voce off. Qualunque attore è corpo e ha bisogno di usarlo, qualcuno bloccandolo qualcun altro lasciando invece fluire le energie. Io sono un corpo e il mio corpo è anche anima, sentimento, emozione e pensiero. Il mio lavoro è questo, sono innamorata di quello che faccio, è un po' come pregare. I miei personaggi nascono da uno attendo e profondo: mi relaziono con le persone, chiedo, incontro, indago. Troppo spesso abbiamo un'idea stereotipata del lavoro dell'attore e del performer in generale e di questo ambiente, ma può essere anche altro.
Hai collaborato anche alle colonne sonore di alcuni dei film in cui hai lavorato. Quali possibilità espressive trovi nella musica?
È un ambiente in cui la produzione è l'immersione totale, è come se sentissi di essere regista di ciò che faccio, qui mi posso sentire libera di proporre. La musica per me è anche un linguaggio per arrivare al pubblico ed emozionarlo, tanti mi chiedono se mi senta più attrice o più cantante, non so rispondere, forse sono solo due facce della stessa medaglia. Spesso recito usando la musica e viceversa lavoro molto per la scrittura dei testi immedesimandomi nei personaggi che interpreto, i testi che scrivo vengono fuori proprio perché mentre giro film.