Maren Ade, berlinese, quarant'anni appena compiuti, un ottimo ruolino di opere prodotte con la sua Komplizen Film, giunge con Vi presento Toni Erdmann al suo terzo lungometraggio, e se è vero che le sue opere precedenti (The Forest for the Trees e Alle Anderen) erano stati premiati a importanti kermesse internazionali, era difficile attendersi per questa nuova prova i consensi e i premi che il film ha mietuto sin dal suo debutto in concorso al Festival di Cannes nel maggio 2016. Soltanto a dicembre sono arrivati ben 5 European Film Awards, incluso quello per il miglior film, e martedì 24 è atteso l'annuncio delle nomination agli Academy Awards per scoprire se, dopo essere stato incluso nella shortlist dei nove film "sopravvissuti" alla selezione del comitato dell'Academy, Toni Erdmann centrerà la nomination come miglior film straniero per trasformarsi probabilmente nel favorito per la vittoria.
Sarebbe di certo un vincitore molto diverso da quello dello scorso anno, lo sconvolgente Il figlio di Saul, per le sensazioni che suscita nel pubblico, anche se Toni Erdmann è tutt'altro che una commedia pura: lo humour è infatti il tentativo estremo, l'ultima speranza di un padre che cerca disperatamente di recuperare un rapporto con una figlia che ha fatto scelte professionali e di vita che lui non riesce a capire. Come tutti i clown, Winnfried Conradi/Toni Erdmann è un uomo molto triste. Ma una cosa è certa: di film che trattano questi temi personali e dolori che fossero anche così divertenti ne abbiamo visti ben pochi. Abbiamo incontrato a Roma l'autrice di questo film delizioso, un miracolo di naturalezza, tenerezza e risate.
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Toni Erdmann e lo humour come ultima spiaggia
Qualcuno storce il naso sentendo parlare di "commedia tedesca". Allora anche i tedeschi hanno il senso dello humour?
Maren Ade: Mi rendo conto che quella tra lo humour e la Germania non è un'associazione immediata, anche se ogni nazione sembra convinta di avere il miglior tipo di humour. Anche noi tedeschi abbiamo il senso dell'umorismo, solo capita che lo nascondiamo. Nel film lo humour è legato al personaggio di questo padre, che è buffo nel modo di parlare, nella sua fisicità; ma io credo che il film sia un dramma fondamentalmente: quest'uomo è disperato, non sa più come comunicare con la figlia e si inventa questo elemento di rottura per cercare un nuovo linguaggio e arrivare a Ines. Anche lei in realtà è spiritosa ma con un padre così ingombrante è come se il suo umorismo fosse soffocato. Quando lui non c'è, e anche lei ha i suoi spazi, viene fuori il suo senso dell'umorismo che non è nemmeno tanto diverso da quello del padre. Con gli attori ho lavorato molto sul non detto. Quello che accade in apparenza è banale e quotidiano, a me interessa quello che succede sotto la superficie: lo humour rivela l'imbarazzo e porta alla luce cose come la sofferenza nelle relazioni interpersonali e le gerarchie di potere tra individui.
C'è una matrice autobiografica?
In qualche modo c'è sempre. Come tutti scrivo meglio di ciò che conosco, ed era molto tempo che volevo affrontare il tema così malinconico delle relazioni familiari. Con i rapporti di coppia puoi cambiare tante volte, formare tanti nuclei diversi: la famiglia è una sola per tutta la vita. Mi Interessava raccontare un rapporto tra due persone che si conoscono da sempre. Mio padre, devo dire, ha un discreto repertorio di lazzi e gag, anche se non si può dire che Winfried sia modellato su di lui. Però ha i denti finti e li usa continuamente. Glieli ho regalati io, li ebbi in regalo lavorando con il team di Austin Powers quando avevo vent'anni. Non li ha più lasciati!
Da Cannes a LA
Il film ha sorpreso molto perché a Cannes nessuno si aspettava di ridere tanto. Sente di aver spezzato un tabù portando un film divertente in concorso sulla Croisette?
No, non credo di aver rotto un tabù, non la vedo proprio così, però di certo non mi aspettavo questo tipo di accoglienza per il film. Mi veniva quasi da dire, ma come, smettetela di ridere così, è un film lungo e malinconico!
Lo sa che durante la proiezione di Cannes dopo la canzone di Sandra Hüller scattò un applauso spontaneo?
Ma davvero?! Non lo sapevo. C'è da dire che fu tutto così precipitoso che non ebbi nemmeno il tempo di pensare alle mie aspettattive. Il lunedì finii di missare il film e il sabato c'era la presentazione ufficiale. Ovviamente ero al settimo cielo solo ad avere il film in concorso, è il sogno di qualsiasi cineasta. Ma fu assurdo, da Cannes mi chiamavano tutti i giorni e io ero ancora lì a fare gli ultimi ritocchi.
Il film non è stato premiato dalla giuria internazionale a Cannes ma ha trionfato agli EFA. Non teme che sia un film troppo "europeo", in vista degli Oscar?
Ho imparato una cosa partecipando di recente ai Golden Globes, dove Toni Erdmann era candidato ma non ha vinto (a spodestarlo è stato Elle di Paul Verhoeven, n.d.r.), ed è che la competizione culturale non ha un grande peso. Non c'è un film che possa piacere a tutti in assoluto, e probabilmente la fortuna è un fattore fondamentale che rende tutto imprevedibile come le quotazioni in Borsa. Però il film ha appena debuttato al New York Film Festival in vista di una release nazionale, e sembra che il pubblico stia rispondendo bene.
Il film ha un minutaggio imponente. Qualcuno le ha detto che per un film di sguardi e imbarazzi e silenzi 162 minuti sono tanti?
Quando il film ha preso questa forma mi aspettavo osservazioni del genere. Ed ero preparata a cercare di ridurre la durata, ma poi quando l'ho fatto, la sensazione era che il film fosse più lungo di prima. Perdeva la sua fluidità ma anche la sua complessità: ad esempio abbiamo accennato alla scena dell'esibizione alla festa, quel momento subito prima, con Ines che dipinge le uova, è indispensabile perché quello che avviene dopo abbia l'intensità che volevo. Alla fine avrei potuto tagliare forse 15 minuti, ma il film sembrava più lungo, e così ho lasciato il montaggio che mi piaceva di più.
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L'eroina "tagliatrice di teste"
Al centro del film c'è anche il mondo del lavoro, con le due generazioni diverse che si confrontano anche su questo: Winfried è più libertario, Ines è feroce e spietata e non ha problemi a prendersi la responsabilità di licenziare decine e centinaia di lavoratori.
Facendo ricerca per decidere che tipo di lavoro dovesse fare Ines ho parlato con tantissimi professionisti e manager della mia generazione, soprattutto donne. Ed è stato un po' come incontrare il nemico. Sono persone consapevoli del lato disumano del loro lavoro. Mi dicevano "Io ho studiato economia, tu sei un'artista, è inevitabile che la vediamo diversamente." Cercando di capire loro sono riuscita a capire Ines quando dice che è sempre meglio salvare le società e le aziende piuttosto che i posti di lavoro. Io non cerco di offrire una soluzione perché non ce l'ho, una soluzione.