Manifesto: il talento di Cate Blanchett celebrato da un film ambizioso ma imperfetto

L'opera di Julian Rosefeldt perde un po' di forza espressiva nel passaggio da installazione a lungometraggio ma non impedisce di ammirare la versatilità della sua protagonista.

Un progetto come Manifesto, diretto da Julian Rosefeldt, potrebbe intimorire il potenziale pubblico con la sua dichiarazione di intenti e la struttura volutamente intrisa di concetti sociopolitici e artistici. Il grande talento di Cate Blanchett, tuttavia, sostiene una struttura talmente ricca di spunti e di significati che in sua assenza avrebbe potuto crollare dopo pochi minuti come un castello di carte dalla base troppo fragile. Il film risulta infatti sicuramente ostico, e a tratti, soprattutto nei minuti finali, la sua natura iniziale di video-installazione emerge chiaramente rendendo evidente i punti deboli del passaggio al montaggio destinato al grande schermo; superato l'impatto iniziale quasi spiazzante il film acquista però un grande fascino che coinvolge e non fa perdere l'attenzione.

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Tredici personaggi per parlare di arte

Manifesto: la protagonista Cate Blanchett in versione rocker
Manifesto: la protagonista Cate Blanchett in versione rocker

Manifesto rende omaggio alla tradizione dei manifesti letterari utilizzando le parole di artisti e pensatori, diventate immortali nel corso dei secoli, per offrire una chiave di lettura originale e mai banale del mondo contemporaneo.
La Blanchett interpreta così ben 13 personaggi diversi e ognuno di loro incarna un movimento artistico attraverso dei monologhi. Sullo schermo c'è quindi spazio per un senza tetto che declama il Manifesto del Partito comunista, per una vedova che a un funerale recita i motti dadaisti criticando chi è in lutto con le parole di Tristan Tzara dichiarando 'Siete tutti degli idioti', per una rocker punk che declama i principi alla base dello stridentismo, un'insegnante che spiega Dogma 95 ai suoi alunni, passando poi nel mondo di un'imprenditrice, una scienziata, una giornalista televisiva, una madre e non solo. Chi teme di non cogliere tutti i riferimenti inseriti dovrà avere la pazienza di attendere i titoli di coda dove la composizione dei monologhi viene svelata ed elencata, però l'identificazione non risulta necessaria ad apprezzare gli intenti del progetto e il risultato ottenuto.

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Manifesto: una foto del film con Cate Blanchett
Manifesto: una foto del film con Cate Blanchett

Non tutti i segmenti risultano ugualmente convincenti: se le regole di Lars von Trier e Thomas Vinterberg appaiono perfette nella versione lezione scolastica, tra correzioni e sottolineature degli aspetti vietati, o la scena ambientata in un studio televisivo in cui si passa la linea alle previsioni del tempo è ironicamente impeccabile nell'affrontare la definizione di arte concettuale, lo stesso non si può dire ad esempio della coreografa alle prese con ballerini dal look sci-fi che, nonostante una buona dose di umorismo e leggerezza, appare fin troppo sopra le righe e stereotipata.
Non c'è invece nulla da eccepire per quanto riguarda la fotografia firmata da Christophe Krauss che regala immagini costruite con attenzione tenendo conto delle prospettive e delle forme geometriche e caratterizzate da sfumature cromatiche in grado di sottolineare ogni cambiamento emotivo, temporale e di atmosfera.
Berlino, inoltre, appare la location perfetta per le riprese con i suoi contrasti architettonici e stilistici, con spazi adatti ad accogliere storie di desolazione e altre di successi scientifici e professionali. La città, pur riconoscibile in molti passaggi, assume senza difficoltà una natura universale nel suo creare sullo schermo una realtà senza confini temporali o geografici.

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Un tributo al talento del premio Oscar

Manifesto: una foto della videoinstallazione
Manifesto: una foto della videoinstallazione

La regia di Rosenfeldt riesce a sfruttare la camaleontica bravura di Cate Blanchett, rendendo il film un vero e proprio tributo nei confronti dell'attrice. Tutti i personaggi sono delineati in ogni loro sfumatura, con gesti unici, con un accento diverso, con una postura e uno sguardo che rendono i tredici stralci di vita diversi e unici. L'attrice sa interpretare i suoi monologhi inserendoli in un contesto umano di volta in volta differente ed è proprio questo che mette in secondo piano il problema principale della versione cinematografica: l'impossibilità di concentrarsi su ogni segmento nel modo adeguato. Pur potendo contare su un montaggio piuttosto fluido e che assemblea con una certa logica i vari passaggi, Manifesto non dà mai allo spettatore il tempo per fermarsi ad apprezzare le parole e i significati, spesso addirittura sovrapponendole e alternandole causando una commistione di approcci alla vita, all'arte e alla filosofia difficile da comprendere, soprattutto se non si hanno conoscenze specifiche e molto approfondite. Il film perde così quella forza che quasi sicuramente ha trasmesso a chi ha potuto ammirare l'installazione, limitandosi a sfruttare nelle sale cinematografiche la bravura della sua interprete principale.

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Conclusione

Il film diretto da Julian Rosefeldt è una prova superata a pieni voti da parte di Cate Blanchett ma, al tempo stesso, non rende giustizia all'idea alla base del progetto che viene limitata e penalizzata dall'unione dei frammenti di vita, filosofia e arte. Visivamente e concettualmente affascinante, Manifesto diluisce i suoi contenuti proprio nel tentativo di renderli più compatti e accessibili a tutti, creando un senso di spaesamento e di iper-stimolazione intellettuale difficile da superare senza troppe difficoltà.
E' facile perdersi all'interno della complessità e dell'intricata rete di pensieri e idee proposta dal film, tuttavia non si può che provare ammirazione per l'incredibile lavoro compiuto dal premio Oscar nell'addentrarsi in così tante realtà e concezioni artistiche diverse.

Manifesto: Cate Blanchett in un momento del film di Julian Rosefeldt
Manifesto: Cate Blanchett in un momento del film di Julian Rosefeldt

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3.5/5