È un cinema di sensazioni, distorsioni e girovagare quello a cui dà vita Antoinette Boulat con un'opera prima, Ma Nuit, scritta in punta di penna, un film di grazia rara che dal 12 gennaio arriva in sala dopo essersi meritato la vetrina della 78esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. Un flusso ininterrotto di pensieri, riflessioni esistenziali e tirate filosofiche, senza che per questo il racconto degeneri nella verbosità fine a se stessa, come proveremo a spiegare nella recensione di Ma nuit.
Istantanea di una generazione perduta
L'immaginario attorno a cui ruota Ma Nuit è quello di una generazione di giovani cresciuta all'ombra della paura del futuro, galleggiante e smarrita. Una rappresentazione forse un po' troppo stereotipata, ma in grado di riacquistare vigore e originalità quando la storia vira sul vagabondare dei due protagonisti nella notte parigina. In mezzo si fa largo l'esperienza più intima e personale di Marion, diciottenne alle prese con l'elaborazione di un lutto, quella della sorella scomparsa anni prima. "Chi ha perso qualcuno da poco ha un'aria particolare, riconoscibile forse solo da coloro che l'hanno già letta sul proprio volto", recita la didascalia in apertura citando L'anno del pensiero magico di Joan Didon, con il dichiarato intento di annunciare uno dei temi del film.
Marion è una ragazza interrotta, dentro ha il dolore della perdita e l'incombente paura di vivere, ma sente nello stesso tempo il bisogno di riappropriarsi di uno spazio di libertà, così il giorno del compleanno della sorella decide di uscire di casa e camminare per le strade della città. Ha inizio un peregrinare che la porterà a inciampare in un andirivieni di personaggi tra feste, amiche e loschi figuri emersi dalle vie di una Parigi sinistramente notturna. Durante il suo errare stordito e confuso Marion incontra Alex (Tom Mercier, che abbiamo imparato ad apprezzare in Synonyms) uno spirito libero che diventerà il suo angelo custode, la sua guida in questa strana notte per le vie della Ville Lumiere.
Un flusso di coscienza
Il resto lo delineano le atmosfere e le suggestioni di un film fatto di sospensioni e di un paesaggio esterno declinato nei minimi dettagli, destinato a diventare il riflesso di quello interiore dei personaggi. Parigi rivela il suo volto inedito, romantica e noir insieme, silenziosa sulle rive della Senna e ancora turbata dal ricordo vivido degli attentati recenti che riecheggia tutto intorno, in ogni gesto sospetto o in qualche corsa scalmanata e improvvisa di un gruppo di ragazzi per strada. È un mondo che scolora nella notte, dominato da un presagio latente ma onnipresente, e accompagnato dalle parole di Alex e Marion (la rivelazione Lou Lampros) che si rincorrono, si sovrappongono e si perdono in lunghe chiacchierate sul senso della vita, sulla paura di viverla ("La vita è un sogno infranto. Dobbiamo accettare il cambiamento, la morte e le catastrofi"), sul sapore della libertà identificato con "il sentimento di non avere paura", sulla necessità a volte di "risalire all'origine delle cose".
La notte di Marion è quella di una intera generazione alla ricerca di un posto nel mondo, in una città decadente, quasi crepuscolare e incapace di stabilire una connessione con i giovani che la abitano. Alex irrompe nel bighellonare vuoto e carico di dolore di Marion e riesce a riempirlo dandogli un senso; i due si compensano, fluttuano entrambi sulla superficie urbana di una città in bilico tra sogno e realtà, definita non solo dalla tradizionale scenografia ma da un caleidoscopio di rumori e suoni che entrano in campo anche attraverso gli auricolari della protagonista: il fruscio degli alberi, il cinguettio degli uccelli, distorsioni e lunghi silenzi. Gli eventi della notte scorrono scanditi dai passi di questa coppia di girovaghi con l'anima ammaccata da uno struggimento che solo con l'alba sembrerà sbiadire per lasciare posto alla leggerezza del mattino appena sorto, al sorriso appena ritrovato di Marion che sfreccia per le vie della città sui pattini a rotelle, al cielo estivo che si apre sui tetti parigini fino quasi a toccarlo con un dito.
Conclusioni
Come ampiamente spiegato fino a ora nella recensione di Ma nuit, Antoinette Boulat firma un’opera prima che ha il sapore di un cinema sensoriale. Una lunga passeggiata nella notte parigina è lo spunto per una riflessione esistenziale attraverso il flusso di coscienza della coppia di giovani protagonisti, Alex e Marion. Insieme vagabondano per le vie notturne di una Parigi decadente e spesso sinistra, e diventano l’emblema di una intera generazione alla ricerca di un posto nel mondo.
Perché ci piace
- Il volto di una Parigi notturna carica di suggestioni e specchio dello stato d’animo dei due protagonisti.
- La coppia di giovani interpreti capaci di caricarsi addosso l’intero film e portare lo spettatore nell’angoscia esistenziale di Marion e Alex.
- Un cinema di atmosfere e distorsioni, dove il flusso di coscienza accompagna il pubblico dall’inizio alla fine senza per questo degenerare nella verbosità.
Cosa non va
- La rappresentazione di una generazione di giovani spaventati dal futuro e smarriti potrebbe risultare nella prima parte del film un po' troppo stereotipata.