La leggenda narra che nel 1050 il capo vichingo Gudbrand il Feroce partì con venti navi, con l'obiettivo di mettere a ferro e fuoco la Normandia per depredarne le ricchezze. In un'abbazia si imbatté in una stanza segreta, dove non era nascosto né oro né argento, ma in compenso liberò un male loro sconosciuto, il segugio infernale. Quando la nave fece ritorno in Norvegia, tutto l'equipaggio era morto e l'animale poté insinuarsi nelle foreste del Nord.
Come vi raccontiamo nella recensione di Lupo vichingo, film disponibile da qualche giorno su Netflix, la storia è ambientata mille anni dopo la premessa appena enunciata, con un piccolo paesino a far da sfondo alla vicenda. La diciassettenne Thale, recentemente rimasta orfana di padre, si è trasferita con la sorella minore, con la madre - donna poliziotto fresca new entry della divisione locale - e il nuovo compagno di lei, ma non è ancora riuscita a superare il lutto. Una sera mentre sta partecipando ad una festa nei boschi insieme a un gruppo di coetanei, è testimone dell'assalto di un lupo che rapisce una delle ragazze e lei stessa resta ferita. Quello che ignora è che la creatura che l'ha morsa è in realtà un licantropo e ora la situazione prende una piega a dir poco imprevista...
Lupo solitario
Fenrir è una delle figure più iconiche della mitologia norrena, un gigantesco lupo frutto dell'unione tra Loki, dio dell'inganno, e la gigantessa Angrboða. Personaggio chiave negli eventi che condurranno poi al Ragnarok, la fine del mondo, funge qui da ispirazione per questa produzione norvegese a basso budget che ha scalato sin da subito la classifica dei più visti su Netflix. Non è il primo e non sarà ovviamente l'ultimo caso dove il folklore di una determinata cultura viene utilizzato come materiale da cui attingere e, come spesso accade in queste occasioni, ci troviamo davanti ad un'operazione assai superficiale nella gestione delle dinamiche narrative, che amalgama il tutto con dettagli fittizi e/o inventati di sana pianta che si rifanno a un immaginario di genere più o meno collaudato, senza purtroppo lasciare il segno.
A cena con il lupo e altri lupi mannari del cinema
Un'identità ballerina
Certo già un titolo come Lupo vichingo faceva presagire qualcosa di (in)volontariamente trash, ma il problema principale di un'operazione come questa è invece nel suo prendersi troppo sul serio, con svolte melodrammatiche di sorta nella gestione dei legami familiari e vaghe dinamiche da coming of age che vengono castrate sul nascere non appena la deriva horror prende il sopravvento. Una deriva horror che risulta poco avvincente, che spreca rimandi assai accennati a grandi classici come Un Lupo mannaro americano a Londra (1981) e L'ululato (1981) nella suddetta trasformazione in licantropo e spruzza un pizzico di splatter ad uso e consumo del pubblico di appassionati, che però difficilmente apprezzeranno l'insieme nel suo complesso.
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Una storia improbabile
La sceneggiatura è infatti troppo debole e derivativa per riuscire a raccontare qualcosa di effettivamente nuovo in un filone come questo e di giovani ragazze destinate a divenire feroci predatori ricordiamo allora con molto più affetto la saga di Licantropia, che riusciva a imprimere - pur tra alti e bassi - ben maggiori sfumature ai personaggi in gioco. Qui invece tutto sembra accadere per caso, a cominciare da quella resa dei conti finale, con l'intera cittadina teatro di un massacro in divenire e pedine secondarie che spuntano alla bisogna per veicolare la trama sull'epilogo prefissato, che pone ulteriore incertezza e apre - chissà - le porte ad un ipotetico sequel, seguendo una prassi ormai diventata sempre più comune. Non che se ne senta effettivamente il bisogno, con Lupo vichingo che si va ad aggiungere alla lunga lista di film più che trascurabili che vanno ad aumentare, settimana dopo settimana, i cataloghi delle piattaforme senza lasciare il segno.
Conclusioni
Un'adolescente, appena trasferitasi in una nuova cittadina, viene morsa da un lupo ed è destinata a trasformarsi anch'essa in un licantropo; la madre poliziotta indaga su una serie di delitti che stanno sconvolgendo la comunità, fino a quando non scopre l'orribile verità. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Lupo vichingo, ci troviamo davanti ad un'operazione povera di spunti, che si ispira molto più che liberamente a passaggi della mitologia norrena per imbastire un horror di serie b mai cattivo quanto basta e avaro di soluzioni originali nella gestione dei personaggi principali, con il tema della famiglia che vorrebbe farsi elemento chiave ma finisce per innescare risvolti involontariamente ridicoli.
Perché ci piace
- L'ambientazione nordica ha sempre il suo fascino.
Cosa non va
- Una sceneggiatura banale e stereotipata che non trova mai il giusto focus sui personaggi.
- I risvolti horror sono più gratuiti che effettivamente convincenti, resa dei conti finale in primis.