Con Lo sguardo di Orson Welles probabilmente Mark Cousins, critico, cinefilo e custode della memoria filmica di intere generazioni, non replica lo sforzo monumentale fatto con il suo The Story of Film, documentario fluviale (quindici ore) del 2011, ma ambisce a qualcosa di altrettanto monumentale: condensare, in poco più di due ore, la ricerca dell'essenza dell'arte e della coscienza del regista di Quarto potere.
Enfant prodige, artista visivo e radiofonico, attore e produttore, teatrante e cineasta, attivista politico e amante appassionato, Orson Welles è stato molte cose che è difficile ridurre a pochi tratti essenziali. Ma Mark Cousins ha due importanti frecce al suo arco: un punto di partenza, una scatola di disegni per lo più mai visti, e una forte idea critica centrale che guida il suo sguardo verso l'oggetto del suo film, che gli permettono di esplorare il mondo poetico e il percorso artistico di Welles con sicurezza e lucidità.
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Una vita in linee
I disegni, dunque: è con matita e pennelli che è iniziata la carriera di Welles, che giunse a Chicago dalla nativa Kenosha, Winsconsin, per frequentare l'istituto d'Arte, che Cousins esplora alla ricerca delle prime suggestioni visive su cui il futuro regista avrebbe modellato le sue prospettive ascendenti, i suoi angoli distintivi, le sue celebri diagonali. Solo gli anni formativi di Welles, rimasto orfano a soli quindici anni, potrebbero fornire materiale per intere biblioteche (e infatti, per i lettori, le biografie non mancano), ma Cousins si concentra sugli elementi chiave: la figura della madre Beatrice Ives, instancabile nelle sua attività caritatevoli fino alla morte precoce, quando il figlio era bambino, nonché la prima donna a ricoprire una carica pubblica a Kenosha, e le esplorazioni negli anni dell'adolescenza. Il Marocco, ma prima ancora l'Irlanda, dove Welles imparò a osservare e fece il suo debutto teatrale, al Gate Theatre di Dublino, a soli sedici anni.
I disegni - il piccolo, incredibile tesoro cartaceo di schizzi e bozzetti a cui Beatrice Welles, la terza figlia del regista, concede a Cousins di accedere per la prima volta - punteggiano l'intero documentario e ci raccontano curiosità e fascinazioni; in essi Mark Cousins cerca e individua le intenzioni dei progetti abbandonati e le origini delle idee visive fondanti della sua opera; immagini come i fasci di luce di Albert Speer, o i riflettori totalitari che compaiono ne Il processo. In essi Cousins trova il destino di Joseph K., e il volto del soldato afro-americano Isaac Woodard, che nel 1946 fu trascinato fuori da un autobus e picchiato selvaggiamente, al punto di diventare irreversibilmente cieco, da un poliziotto.
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La voce di Falstaff
Dal punto di vista della scrittura, Lo sguardo di Orson Welles è strutturato come una lettera indirizzata allo stesso Welles, e declamata nell'accento irlandese di Cousins. Ma a un tratto, e brevemente, la famosa voce baritonale del regista de L'infernale Quinlan - o qualcosa di abbastanza simile - risponde. Risponde con due obiettivi essenziali: uno è ricordare al suo esegeta il suo ruolo di "buffone", di satirista, capace di vedere il ridicolo in ogni insensatezza del mondo, Falstaff prima di Otello, di Charles Foster Kane, di Harry Lime. L'altro è scardinare gli schematismi con cui Cousins cerca di presentarlo, la passione politica e la passione amorosa, per Welles, erano solo due bagliori della stessa fiamma, di quel bisogno di credere che ha fatto di lui un pioniere, un rivoluzionario, un genio.
Hai amato con la passione con cui un torero combatte. Ma la corrida finisce sempre con la morte.
Gli occhi del genio
In ultima analisi, il documentario di Mark Cousins è una ricca e appassionata, sebbene inevitabilmente sintetica e fortemente ancorata nell'aspetto visuale, esplorazione dell'opera e del percorso artistico e ideologico di Orson Welles, senz'altro un viatico eccellente per chi si avvicina alla filmografia snella e senza pari di un regista avversato dagli studios. Ma noi crediamo che il merito principale del film risieda in altro: noi crediamo che seguire il tratto dei magnifici bozzetti, il movimento della sigaretta di Rita Hayworth ne La signora di Shanghai, gli sguardi d'amore e gli slanci romantici per le donne amate, le battaglie civili, possa aprire i nostri occhi negli occhi magnetici di Welles, e farci afferrare una matita, una fotocamera, un bacio, il filo di un racconto. Chiede Cousins a Welles, in un momento del suo documentario: "La crisi del '29 ti aiutò a crescere. Oggi veniamo da un'atra crisi, forse aiuterà a far emergere un altro Orson Welles?". Difficile pensare che sia così; è finito il tempo delle rivoluzioni, è scaduto il tempo dell'umanità. Ma resta la scintilla dell'ispirazione, nella meraviglia dell'arte di Orson Welles.
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4.0/5