Lo sguardo che uccide... la fantasia
Bisognerebbe inventare un remake anche delle recensioni. A conti fatti toglierebbe spesso dall'impaccio lo scriba, come il lettore. Inutile infatti arrampicarsi sugli specchi per giustificare questo Quarantena se a prevalere è la volontà di rintracciarne un'urgenza prettamente cinematografica. Inutile almeno quanto demolire un progetto che se già sulla carta mostrava a dir poco il fiato corto, all'effettiva visione spiazza per la scelta di rigirare inquadratura per inquadratura il fortunato horror spagnolo. Quarantena travalica difatti il remake in senso stretto per farsi copia carbone in un'altra lingua e con altre facce. Un po' come lo Psycho diGus Van Sant o il Funny games di Michael Haneke ma senza un preciso intento intellettuale o una particolare consapevolezza che ne giustifichi la scelta. Ovvio poi che sul risultato pesino i ricordi e le aspettative di chi ha visto l'originale, condizionando inevitabilmente il giudizio. Eppure, sembra abbastanza evidente come nonostante l'estrema similitudine, il corrispettivo americano mostra la corda in termini di mordente, ritmo e suspance. D'altronde superati i limiti "etici" di un rifacimento di questo tipo, rimangono in campo motivazioni brutalmente economiche. Ma non solo, perché la pratica del remake, pare diventare un automatismo un po' fuori controllo, specie quando la distanza temporale tra i due progetti è appena di un anno.
Partendo dall'usuale riflessione sul cannibalismo e il voyerismo dei media, ma portandole alle estreme conseguenze, REC di Jaume Balagueró e Paco Plaza si dimostrava un horror sporco ed efficace capace di trarre il massimo profitto dalla logica del plot e di inquietare anche a suo modo, toccando il nervo scoperto del guardone-spettatore con alcune trovate davvero ben riuscite. Non si può dire lo stesso per questo Quarantena, che, anche a causa delle uscite di Cloverfield e di Diary of the Dead, pare un progetto nato già stanco. Esercizio di meta-cannibalismo anonimo e spuntato, incapace di dare un corpo tematico a ciò che mette in mostra. Anche qui abbiamo la reporter meschina e superficiale (interpretata da Jennifer Carpenter) che si dedica pigramente a seguire una notte all'interno del corpo dei vigili urbani, convinta che non ne trarrà mai nulla di professionalmente interessante. Almeno fino a quando una chiamata apparentemente anonima all'interno di un condominio non si trasformerà in un inferno inimmaginabile. Lei e il suo cameraman si troveranno infatti alle prese con un virus che trasforma tutti gli infetti in omicidi assetati di sangue e costretti a lottare per sopravvivere, senza mai perdere di vista il valore giornalistico delle riprese, fino alle più estreme conseguenze.
Alla regia l'esordiente Erick Dowdle che si fa sceneggiare il film dal fratello Drew e si dedica a una regia puramente imitativa, come da richiesta. Il film infatti segue attraverso un'unica ininterrotta soggettiva (trasgredita solo da qualche furbo stratagemma narrativo) il tragico percorso dei condomini e della squadra dei pompieri riprendendo pedissequamente tutte le situazioni del film originale, richiedendo anche un esemplare sforzo di memoria per chi voglia cercare le differenze tra le versioni. Il qui presente, smemorato recensore crede di averne rintracciata una significativa differenza in una sequenza in cui viene colpito un infetto direttamente con la telecamera a suggerire pedantemente la natura "mortale" dello spettacolo televisivo. Ma non garantisco verità.