Una delle cose che amo della mia professione, e che trovo salutari, è che dobbiamo costantemente ridurci in frammenti.
La maggior parte dei personaggi interpretati da Liv Ullmann, o perlomeno i più famosi, presentano una serie di tratti comuni: una sommessa fragilità, il bisogno di introspezione e il desiderio di guardare dentro se stessi, perfino a costo di trovarsi faccia a faccia con i propri lati oscuri. E non è un caso se la bellezza eterea dell'attrice, con quegli ipnotici occhi celesti che splendono all'interno del volto diafano e lentigginoso, è sempre stata contraddistinta da un senso di malinconia e di mistero: sullo schermo, Liv Ullmann era al contempo una creatura quasi angelica e una figura dolorosamente umana, capace di dar vita ad alcuni dei più indelebili ritratti del cinema europeo dell'ultimo mezzo secolo.
Nata a Tokyo da genitori norvegesi il 16 dicembre 1938, cresciuta fra il Canada, gli Stati Uniti e la Scandinavia e segnata dalla morte del padre quando era ancora bambina, Liv Ullmann ha legato il proprio nome e la propria fama a uno dei più grandi cineasti di ogni epoca: Ingmar Bergman, il regista che, dopo averla vista recitare Henrik Ibsen sul palcoscenico, avrebbe deciso di farne la propria attrice-musa, intraprendendo con lei una lunga relazione professionale e anche sentimentale (da lui Liv ha avuto sua figlia, Linn) e contribuendo a metterne in luce l'immenso talento.
Liv Ullmann, dal sodalizio con Bergman alla carriera da regista
E il talento di Liv Ullmann, per fortuna, non è passato inosservato: considerata una delle più dotate interpreti drammatiche della propria generazione, la Ullmann si è fatta conoscere perfino a Hollywood, dove ha lavorato in film come La signora a 40 carati e Quell'ultimo ponte. La sua filmografia, comunque, spazia fra nazionalità molto diverse: nel 1984 affianca Michel Piccoli nella produzione svizzera Mosse pericolose, premio Oscar come miglior film straniero, nel 1986 divide la scena con Catherine Deneuve e Philippe Noiret nell'incantevole Speriamo che sia femmina di Mario Monicelli e nel 1987 vince il David di Donatello per Mosca addio di Mauro Bolognini.
Se negli anni Novanta diminuisce la sua attività davanti alla cinepresa, in compenso Liv Ullmann si mette alla prova in qualità di regista: dall'apprezzato esordio nel 1992 con Sofie al suo film più acclamato, L'Infedele del 2000, basato su una sceneggiatura di Ingmar Bergman, per arrivare nel 2014 a Miss Julie, trasposizione di August Strindberg con Jessica Chastain e Colin Farrell. E oggi, cogliamo l'occasione del suo ottantesimo compleanno per celebrare la straordinaria attrice norvegese ripercorrendo cinque ruoli che hanno segnato la sua magnifica carriera.
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5. Karl e Kristina
Basato sulla saga letteraria di Vilhelm Mobeg e sceneggiato e diretto da Jan Troell, Karl e Kristina (noto a livello internazionale come The Emigrants) è un affresco di tre ore che ricostruisce le condizioni di povertà nelle campagne svedesi nella metà dell'Ottocento, il viaggio verso l'America, "terra delle opportunità", e l'arrivo in Minnesota. Distribuito nel 1971 in patria e l'anno seguente negli Stati Uniti, Karl e Kristina si rivela un inaspettato successo e si guadagna cinque nomination agli Oscar, tra cui miglior film e regia (caso rarissimo per una pellicola in lingua straniera) e la candidatura come miglior attrice per Liv Ullmann grazie al ruolo di Kristina Nilsson, moglie del fattore Karl Oskar Nilsson (Max von Sydow), costretta a fronteggiare le angosce e le difficoltà della migrazione: un personaggio che, a sorpresa, farà vincere alla Ullmann anche il Golden Globe come miglior attrice di dramma.
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4. Sinfonia d'autunno
La sudditanza psicologica, il silenzioso risentimento, l'affetto problematico e la rabbia pronta ad esplodere: sono i sentimenti trasmessi da Liv Ullmann, in una prova magistralmente sotto le righe, nei panni di Eva Andergast, impegnata in un dilaniante confronto con la madre Charlotte, affermata pianista che ha sempre privilegiato la carriera rispetto alla famiglia. Il film, Sinfonia d'autunno, diretto nel 1978 da Ingmar Bergman, è costruito attorno al magistrale duetto fra la Ullmann e la sua comprimaria, una maestosa Ingrid Bergman; e nel dividere lo schermo le due attrici imprimono alla pellicola un'incredibile tensione emotiva.
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3. Scene da un matrimonio
Nel 1973, mentre in America usciva il capolavoro Sussurri e grida, Ingmar Bergman gira per la TV svedese una celeberrima miniserie che sarebbe poi stata distribuita nei cinema di tutto il mondo in una versione ridotta a tre ore: Scene da un matrimonio, ovvero i frammenti della vita di coppia di Johan e Marianne, impersonati da due degli attori-feticcio del regista, Erland Josephson e Liv Ullmann. E quest'ultima offre un'altra interpretazione superba nel dar volto e voce alle incertezze, ai desideri e ai sentimenti contrastanti di una donna che si trova a prendere decisioni fatidiche sulla propria vita matrimoniale. Nel 2003, Josephson e la Ullmann riprenderanno i rispettivi ruoli nello stupendo Sarabanda, l'ultimo lungometraggio diretto da Bergman.
2. Persona
Il 1966 è l'anno che segna l'inizio della collaborazione fra Liv Ullmann e Ingmar Bergman: una collaborazione inaugurata da uno dei capolavori più stupefacenti e innovativi del regista, Persona. Opera sperimentale e ambiziosissima, Persona è tutto imperniato sul rapporto fra le due protagoniste: Liv Ullmann è Elisabeth Vogler, attrice teatrale che all'improvviso si rinchiude in un assoluto mutismo, mentre Bibi Andersson è Alma, la giovane infermiera che si prende cura di lei e che, nella solitudine di un'isola, comincerà a rivelarle i propri pensieri più intimi. Nella parte di Elisabeth, la Ullmann si impegna in una durissima sfida di recitazione: sostenere un intero film senza parlare, contando unicamente sull'espressività del volto e dello sguardo per portare alla luce le ambiguità e le sfumature psicologiche di un personaggio estremamente complesso e misterioso.
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1. L'immagine allo specchio
Un autentico tour de force attoriale: è quello in cui si imbarca Liv Ullmann ne L'immagine allo specchio, miniserie televisiva di tre ore, ridotta a due ore per la versione distribuita nelle sale cinematografiche nel 1976 e accolta dalla critica americana come uno dei più importanti film dell'anno. Ne L'immagine allo specchio, Ingmar Bergman consegna alla Ullmann uno dei suoi personaggi più densi e contraddittori: Jenny Isaksson, una psichiatra alle prese con una crisi personale che, passo dopo passo, la porterà a smarrire il confine fra passato e presente, fra realtà e finzione. Basato interamente sui dilemmi e le inquietudini della protagonista, L'immagine allo specchio è illuminato dalla prova sublime di Liv Ullmann, che per questo film otterrà una pioggia di riconoscimenti e la sua seconda nomination all'Oscar come miglior attrice.