Un piccolo paese nel centro della Francia, un condominio e un attentato. A dieci anni da Lo sconosciuto del lago, con cui ha vinto il premio alla regia Un Certain Regard a Cannes, Alain Guiraudie cambia tono e concentra il suo sguardo in uno spazio chiuso, fondendo il dramma alla commedia. E lo fa con L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice, dove si racconta di un uomo, Médéric (Jean-Charles Clichet), innamorato di una prostituta più anziana, Isadora (Noémie Lvovsky), la cui vita viene sconvolta quando ospita Selim (Iliès Kadri), un arabo senzatetto. Già perché nella loro cittadina è appena avvenuto un attentato di natura islamica, e le forze dell'ordine sono sulle tracce di un sospettato estremista.
La paranoia sembra dettare le regole del film, come ci ha raccontato il regista durante la nostra intervista: "È passato del tempo, ma per quanto riguarda il punto di partenza del film c'è il trauma degli attentati del 2015. Non tanto gli attentati in sé, piuttosto del modo con cui ho assimilato questi eventi. Dopo due film piuttosto cupi, ho sentito il bisogno di girare una commedia. E mi sono detto che questi temi potevano applicarsi anche ad un genere più leggero. Ero sempre stato interessato al confine tra commedia e tragedia, ma non mi sono mai spinto fino in fondo".
"L'ispirazione? Almodóvar"
La spinta maggiore de L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice, presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino, arriva proprio dal linguaggio della commedia, pungente e coinvolgente. "La spinta che mi ha mosso? Credo ci fosse l'idea di riunire e riassemblare problemi e dibattiti in corso nella società francese. Ho pensato ad Pedro Almodóvar, e 'Donne sull'orlo di una crisi di nervi'. In quel film c'è un personaggio che racchiude diverse qualità e diversi vizi. Del resto, la commedia permette di lanciarsi in un rovesciamento di quelle che sono le abituali rappresentazioni dei personaggi. E il film gioca con i preconcetti, dall'etnia all'originale sociale". Preconcetti stra-caricati dalla messa in scena di Alain Guiraudie, che non rinuncia volutamente ai cliché: "Sono andato sul sicuro, sui cliché", prosegue il regista, "girando però attorno al senso stesso dei luoghi comuni".
L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice, la recensione: se la paranoia diventa (ottima) commedia
La paranoia come strumento politico
Ma se la paranoia avvolge il film, quella indotta, che subiamo ogni giorno, finirà mai? "Credo che la paranoia post-attentati si sia conclusa. Certo continuano ad esserci episodi di rifiuto nei confronti degli stranieri. Questo periodo, che è iniziato nel 2001, ha fatto sì che cambiasse lo sguardo collettivo rispetto ai musulmani e gli arabi. Anche io sono impregnato di questi ideali razzisti. Un periodo che ha fatto riemergere una paranoia di tipo post-coloniale. Dobbiamo chiederci se questa paranoia fosse già presente o esacerbata. Se mettiamo da parte l'idea della paranoia, viene alimentata la teoria della Grande Sostituzione: scontro tra arabi e Occidente. Una teoria utilizzata a livello politico, anche".