Una spirale ripresa dall'altro che ricorda quella, ormai leggendaria, dei titoli di testa di Vertigo di Alfred Hitchcock. È la scenografia dell'esordio nell'haute couture di Ellias Barnès, acclamato stilista parigino con il volto di Marc-André Grondin. Il protagonista de L'erede, secondo lungometraggio di Xavier Legrand. E di eredità parla il film. Ellias, poco più che trentenne è il successore (nell'originale il titolo del film è Le Successeur) del suo mentore nonché fondatore della maison Orsino.
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Un traguardo importante che lo inorgoglisce, ma anche carico di responsabilità. Ecco allora che dietro le quinte della sfilata, il direttore creativo sente una fitta al petto. Nulla a che vedere con il cuore secondo la sua dottoressa, ma con la testa. Un attacco di panico che lui associa, però, all'ictus avuto anni prima dal padre con il quale ha chiuso ogni rapporto.
Gli ingranaggi di scrittura e regia
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Proprio nel momento più alto della sua carriera arriva la notizia che l'uomo è morto. Il suo cuore ha smesso di battere e tocca ad Ellias volare da Parigi fino a Montréal, in Québec, per organizzare il funerale ed occuparsi della burocrazia. Lui che per quell'uomo prova solo risentimento e che ha, addirittura, cambiato nome per allontanarsi ancor di più dal suo passato. Dopo L'affido, esordio pluripremiato alla Mostra del Cinema e vincitore di due César, Xavier Legrand torna ad indagare la violenza domestica e il patriarcato con un thriller che si inabissa negli anfratti più oscuri dell'animo umano.
Guardando ad Hitchcock per l'incredibile costruzione narrativa che porta ad un crescendo di suspense e colpi di scena, L'erede mischia i generi e accompagna lo spettatore in un viaggio impensabile tanta è la carica emozionale e sconvolgente che la sceneggiatura - scritta con Dominick Parenteau-Lebeuf a partire dal romanzo L'Ascendant di Alexandre Postel - porta con sé. Dal dramma intimo della prima parte, al thriller della sezione centrale, fino all'horror che accompagna la seconda metà, il film di Xavier Legrand cattura lo spettatore nella sua morsa. Una di quelle pellicole che portano a trattenere il fiato grazie agli ottimi ingranaggi in termini di scrittura e regia**.
Il male si eredita?
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Del padre di Ellias non scopriamo mai nulla, tanto meno il perché il figlio abbia deciso di allontanarsi da lui. Quel che è certo è che non vuole nulla che gli sia appartenuto, casa compresa. Per questo decide di donarla ad un ente di beneficenza. Per farlo deve compilare una sorta di inventario di tutto ciò che la compone. Così l'uomo è costretto a scendere nel seminterrato dove trova una porta chiusa con il lucchetto. Quello che scopre lì dentro - che non sveleremo - lo sconvolge a tal punto da sentirsi fisicamente male.
Ma è ciò che fa dopo che rende L'erede un film così affascinante. Lo stilista ha davanti a sé una strada facile - escludendo il fatto che la sua figura pubblica potrebbe esserne danneggiata di riflesso -, ma ne sceglie un'altra. Ed è qui che Xavier Legrand ci porta a riflettere sul concetto di eredità legato al male. Si può tramandare come un cuore difettoso? Il direttore creativo ha ricevuto come lascito una maison di moda e una casa ed entrambi i suoi padri - quello artistico e quello biologico - che sono morti portandolo a subentrare nelle loro attività.
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Quanto - si domanda e ci domanda il regista - l'eredità del patriarcato che ci portiamo dietro da secoli, da padre in figlio, è determinate nel destino di un uomo? Per farlo si appoggia alla tragedia, tra l'Amleto di Shakespeare - non a caso sua madre si è risposata con il fratello del padre - e il mito di Edipo. Un film che sfida lo spettatore mostrandogli di cosa è capace l'uomo. E che non sempre un pianto accorato ha il sapore della liberazione.
Conclusioni
Dopo il corto Avant Que De Tout Perdre e L'affido, pluripremiato esordio al lungometraggio, Xavier Legrand torna con un altro ottimo film con cui scandagliare gli abissi dell'animo umano più oscuri e continuare la sua indagine sulla violenza domestica e il patriarcato. Lo fa attraverso il direttore creativo di una casa di moda parigina che ha chiuso ogni rapporto con il padre. Quando l'uomo muore tocca a lui prendersi carico della sua eredità rappresentata da una casa. Quello che scoprirà aprendo una porta dello scantinato cambierà il corso della sua vita. È come se quella porta lo mettesse davanti ad un bivio. La sua scelta, ci suggerisce il regista, parla dell'ereditarietà del male tramandato di padre in figlio. Una pellicola che guarda a Hitchcock così come all'Amleto e che si regge su una sceneggiatura finemente cesellata che spazia tra dramma, thriller e horror.
Perché ci piace
- La sceneggiatura, un ingranaggio narrativo ben oleato
- L'interpretazione di Marc-André Grondin
- La commistione di più generi
- La riflessione sull'ereditarietà del male
- I riferimenti a Hitchcock e alla tragedia
Cosa non va
- Tra gli spettatori c'è chi potrebbe soffrire i numerosi colpi di scena