Recensione Silenced (2011)

Il vincitore della quattordicesima edizione del Far East è un duro dramma ad ambientazione scolastica, che tuttavia lascia perplessi per l'enfasi con cui racconta i terribili eventi da cui prende spunto.

Le urla del silenzio

In-oh, giovane insegnante, viene mandato a lavorare in un rinomato istituto per bambini sordomuti, in un paesino isolato tra le montagne. Giunto nella scuola, l'uomo trova un'atmosfera inusuale: i piccoli residenti sembrano costantemente spaventati, come se su di loro gravasse una minaccia, e alcuni di loro hanno dei lividi. Un giorno, In-oh vede un insegnante picchiare duramente un ragazzo; durante la notte, poi, sente lamenti e pianti provenire dai bagni, ma viene subito allontanato dal bidello. Quando, la sera dopo, l'insegnante è testimone di un altro, terribile maltrattamento subito da una bambina, chiusa in una lavatrice da una docente, realizza che nell'istituto pratiche del genere sono la norma; ma presto la realtà si rivelerà anche peggiore di quella che In-oh aveva immaginato. I piccoli residenti sono infatti vittime di continue violenze sessuali da parte del preside e dei docenti, e tutto il personale della scuola è coinvolto o connivente. In-oh inizia così una dura battaglia legale contro i responsabili dell'istituto, aiutato dall'attivista per i diritti civili Yu-jin conosciuta al suo arrivo nella cittadina.

Tratto da un romanzo di Cong Jee-young, a sua volta ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti, Silenced è un duro dramma ad ambientazione scolastica, che si è aggiudicato, un po' a sorpresa, il premio del pubblico nell'edizione appena conclusa del Far East Film Festival. Sorpresa derivata non tanto dalla qualità dell'opera (comunque opinabile) e al tema trattato, piuttosto inusuale per il carattere popolare della kermesse friulana; a stupire, piuttosto, è stato il contrasto del premio con l'accoglienza tiepida del pubblico di Udine in occasione della proiezione, e dopo lo stesso annuncio della vittoria. Valutazioni di questo tipo a parte, più attinenti con le dinamiche della manifestazione udinese che con la qualità della pellicola, bisogna dire che il film diretto da Hwang Dong Hyeuk, nella sua costruzione narrativa e nella sua resa cinematografica, lascia più di un motivo di perplessità. E' fuori discussione, ovviamente, l'importanza del tema trattato e l'opportunità stessa di trattarlo; quello che non convince del tutto, piuttosto, è il quasi totale affidarsi della sceneggiatura a questo forte elemento emotivo, enfatizzato e amplificato a dismisura dalla messa in scena. Sia chiaro, il film di Hwang non ha nulla a che spartire con il filone del "poverty porn", avversato (e irriso) dallo stesso trailer di quest'anno della manifestazione friulana; resta il fatto, però, che l'enfasi, la mano calcata dal regista sulle terribili violenze raccontate, la schematicità dei personaggi e la natura un po' ricattatoria del tono adottato, finiscono per far perdere efficacia e credibilità al tutto. Una maggiore misura nei toni e una maggiore asciuttezza nel racconto avrebbero sicuramente giovato.
La scrittura del film lascia perplessi anche per alcune evidenti incongruenze e forzature narrative (fin troppo prudente appare l'atteggiamento iniziale del protagonista, anche quando la terribile realtà degli eventi è sotto i suoi occhi) mentre la conclusione della vicenda, per quanto fedele alla cronaca reale degli eventi, si rivela poco credibile nella sua messa in scena. Ciò che comunque va sottolineato ancora una volta è come Hwang utilizza, in modo discutibile, tutti gli artifici spettacolari di un film di genere (compreso l'uso insistito dei primi piani sui volti delle piccole vittime, e una certa retorica nei dialoghi) per generare un coinvolgimento che comunque nasce, primariamente, da ragioni extracinematografiche. I "mostri" responsabili delle violenze, principalmente i due gemelli a capo dell'istituto, sono resi in modo fin troppo schematico dallo script; se è vero che spesso il male è banale, comunque la sua rappresentazione cinematografica necessita una descrizione più accurata se si vuole che lo spettatore lo colga nei suoi caratteri repulsivi. La scarsa misura che caratterizza tutta la pellicola finisce per straripare in una discutibile sequenza posta negli ultimi minuti, che coinvolge il protagonista e rappresenta un po' il compendio dei nostri motivi di perplessità nei confronti del film.

Resta comunque, Silenced, una pellicola che ha una sua importanza per il durissimo argomento che tratta, e per il coraggio in ogni caso mostrato nel raccontare una storia che andava raccontata; la confezione della pellicola non si discute, ed è anzi, forse, proprio un eccesso di confezione uno dei suoi problemi principali. Se il regista avesse sottratto di più, a nostro parere, l'emozione e lo stesso impatto degli eventi narrati ne avrebbero sicuramente guadagnato.

Movieplayer.it

3.0/5