L'edizione numero 7 del Ravenna Nightmare, festival che si è imposto in questi anni quale punto di riferimento per gli amanti del cinema horror in Italia, ha avuto anche nel 2009 il suo momento clou nella serata di Halloween, con le ultime proiezioni del concorso e a seguire la cerimonia di premiazione. In realtà era scontato, almeno quest'anno, che l'interesse degli appassionati convergesse in blocco sul Concorso Internazionale Lungometraggi, visto che una situazione generale tendenzialmente sfavorevole ai piccoli festival e la brusca riduzione del budget hanno determinato decisioni drastiche, tra cui la soppressione delle retrospettive e dell'interessante sezione dedicata ai cortometraggi. Con quell'auto-ironia e presenza di spirito che non sono venute meno neanche in frangenti tanto delicati, il direttore del Nightmare Franco Calandrini ha così riassunto la formula adottata per l'occasione: amputare. Il che in fondo può anche starci bene, nella manifestazione dedicata a un genere che ha le motoseghe costantemente in azione, le feroci sevizie e il blood & gore di Non aprite quella porta tra i propri atti costitutivi.
A margine dello sguardo affettuosamente ironico appena rivolto alla pur seria questione dei tagli, vogliamo subito precisare che aver puntato sulle novità, selezionando tra concorso ed eventi speciali ben 13 lungometraggi assai differenti tra loro in quanto a provenienza geografica e approccio al genere, è servito a tenere desta l'attenzione del pubblico, che non a caso ha affollato gli spazi del Cinemacity di Ravenna riservati al festival tanto da costringere gli organizzatori a richiedere, almeno nella giornata di chiusura, una sala più grande. E sempre stando all'accoglienza del pubblico, pare che anche le scelte coraggiose e fondamentalmente giuste della giuria internazionale (composta dalla regista italiana Silvana Zancolò, dal filmaker britannico Andrew Parkinson e dal critico Fabio Zanello) abbiano riscosso un certo gradimento: dall'Olanda arriva il film vincitore del Nightmare, The Human Centipede di Tom Six, effettivamente una delle pellicole horror più disturbanti realizzate negli ultimi tempi; altrettanto meritata è parsa la menzione speciale per Life and Death of a Porno Gang, ennesima follia balcanica firmata dal serbo Mladen Djordjevi?.
Ma per meglio orientarci nella giungla di orrori cinematografici che la kermesse romagnola, anche nel corso questa edizione problematica, è riuscita ad offrire al suo pubblico, abbiamo pensato di concentrare la nostra attenzione su un poker di titoli, individuati tra quelli più attesi alla vigilia o che sono riusciti a sorprendere i seguaci del genere.
Cominciamo, una volta tanto, dalle dolenti note. C'era grandissima attesa per il sequel dello spaventoso, claustrofobico The Descent - Discesa nelle tenebre di Neil Marshall, indubbiamente uno degli horror più ansiogeni e ricchi di tensione degli ultimi anni. In The Descent 2 si torna imprudentemente nelle misteriose caverne perse tra i Monti Appalachi, con l'inevitabile corredo di creature adattate al buio e pronte a colpire in qualsiasi momento, ma il miracolo non si ripete.
Giova solo in parte che la nuova (dis)avventura tenti di rivaleggiare col prototipo sotto il profilo delle ambientazioni claustrofobiche, di riprese nell'oscurità che creano spaesamento, dell'angoscante attesa che si manifestino quegli esseri destinati anche qui a suscitare panico e repulsione. La discreta riuscita di alcune sequenze è da imputare principalmente al senso del ritmo esibito da Jon Harris; pur essendo all'esordio come regista, il filmmaker britannico ha fatto grande esperienza montando altre pellicole adrenaliniche, su tutte l'ottimo Eden Lake firmato da James Watkins.
Nonostante ciò si ha l'impressione che lo sciagurato sequel abbia sin dalle premesse qualcosa di pretestuoso, compreso il forzato recupero di Sarah, escamotage quasi inevitabile per una produzione che ha puntato nuovamente sul carisma del personaggio e sulle valide doti drammatiche dell'interprete Shauna McDonald. A proposito, ricordate la speleologa Sarah Carter, che al termine di The Descent era ancora prigioniera delle grotte abitate da malefiche creature, apparentemente senza una via di fuga? Ebbene, nelle scene iniziali del sequel la ritroviamo in superficie, coperta di sangue e senza alcun ricordo dell'incubo vissuto sotto terra, proprio mentre le autorità locali hanno cominciato a muoversi per rintracciare lei e le altre compagne disperse. Conoscendo le regole del gioco, ci si potrebbe anche stare. Invece disturba, e parecchio, che l'intera sceneggiatura sia un continuo arrampicarsi sugli specchi, con personaggi vecchi e nuovi che si ostinano ad agire in modo illogico nelle situazioni di pericolo, spiegazioni sommarie poste nei passaggi chiave del racconto, trappoloni emotivi resi poco efficaci dallo scarso spessore dei nuovi protagonisti. Davvero un peccato. E ad ogni modo, più che aspettare l'ennesimo sequel del piccolo capolavoro di Marshall (cosa che il finale di The Descent 2 fa in parte temere), speriamo di vedere presto il promettente Harris alle prese con un soggetto più originale.
La sorpresa più gradita del festival, invece, non è venuta dal concorso. Presentato come evento d'apertura del Nightmare, Alien Trespass è un vero e proprio gioiellino costruito prendendo a modello la science fiction americana anni '50, col fascino d'antan dei vecchi B-Movies tenuto sapientemente sullo sfondo. Corredato di un prologo in bianco e nero realizzato simulando l'estetica e i contenuti di datati cinegiornali, quello diretto da R.W. Goodwin (regista e produttore di numerosi episodi della serie The X-Files, nonché producer di un'altra serie targata Fox, Tru Calling) è omaggio alle produzioni di un'epoca felice per la fantascienza, che colpisce per l'accurato spirito filologico senza rinunciare a una vena auto-ironica. Dal prologo si entra nella vicenda ai confini della realtà, datata 1957, che vede l'arrivo di un disco volante creare il panico in una quieta cittadina californiana, persa nel deserto del Mojave tra lande brulle e aspre formazioni rocciose. Al bianco e nero iniziale, presto confinato nello schermo di una tv accesa, si sostituiscono i colori sparati e tendenti al pastello, stile technicolor, che fanno da degna cornice al progredire della minaccia aliena: ha inizio così quel gustoso frullato di immaginario anni '50 che mescola insieme creature tentacolari alla Ed Wood, sfacciate parafrasi di Blob - Fluido mortale (vi è addirittura la citazione, riproposta all'interno di un cinema, della celebre sequenza che vede l'essere gelatinoso invadere una sala cinematografica, come a significare un meta-cinema al quadrato!), uso divertito del trasparente e pittoresche scenografie a simulare cieli stellati e navi spaziali in avaria. Il rimando all'artigianalità di un tempo è senz'altro la chiave di volta di un'operazione dichiaratamente nostalgica, con quel tocco strafottente e ironico che richiama a tratti il Tim Burton di Mars Attacks!.
Muovendoci pure qui a margine del concorso, non possiamo esimerci dal citare il film con cui la manifestazione si è chiusa, visto anche il nome della regista: Catherine Breillat. Sempre in grado di scioccare i cinefili più esigenti a suon di provocazioni estetiche, e di contenuti forti, la cineasta francese (nota anche per aver sdoganato Rocco Siffredi in Pornocrazia) è abituata a portare in scena una visione della sessualità e dei rapporti famigliari piuttosto conturbante, estrema nel suo radicalismo. Non sempre il cinema a tesi di una simile autrice riesce a convincerci, ma almeno in qualche frangente le frecce imbevute di acredine e amore per la provocazione giungono a bersaglio. Di certo qualcuno potrebbe stupirsi di fronte alla presenza di un suo film nel contesto del Nightmare, votato per costituzione al cinema di genere, eppure La barbe bleue è una fiaba oscura i cui tratti più macabri ben si sono prestati allo scopo.Produzione Arte France, destinata quindi principalmente al piccolo schermo, la versione di Barbablù della Breillat associa al rigore estetico un'esplorazione sottile di temi come le paure infantili, la scoperta della sessualità, il confronto anche violento tra i sessi, l'aspetto repressivo dell'educazione religiosa. Impostato narrativamente su un doppio binario, costituito dalla rappresentazione in costume della fiaba e dalla lettura della stessa, associata a commenti spesso salaci, da parte di due bimbette confinate in soffitta e proposte nel ruolo di storyteller, Barbe Bleue è forse una delle opere più affascinanti che la controversa autrice ci abbia regalato ultimamente.
Per concludere, ecco la quarta carta del poker che vi avevamo promesso: The Human Centipede di Tom Six. Ci sembra giusto dedicare la fine del nostro resoconto al lungometraggio del regista olandese, non solo per l'importante premio tributatogli al Nightmare, ma anche e soprattutto per l'originalità dimostrata rispetto alla gran parte della produzione horror visionata durante il festival. Se il film si può apparentare, molto alla lontana, al proficuo filone degli slasher movies in cui ignari turisti americani incontrano una fine raccapricciante nel corso di un viaggio in Europa (filone di cui Hostel e relativo seguito sono esempi lampanti), le pieghe prese dal racconto assumono qui un tono e un'impronta rappresentativa ancora più disturbante, ma in maniera forse più sottile. L'orribile operazione alla quale vengono sottoposte due ragazzette americane e un giapponese di passaggio, uniti chirurgicamente per formare il mostruoso "millepiedi umano", assume un impatto psicologicamente devastante prima ancora di essere posta in atto, per via della dettagliata e sadica spiegazione che ne fa ai "pazienti" il villain di turno, ovvero un folle dottore tedesco dai modi alquanto nazi.
Queste e altre finezze vengono a costituire il successo di una pellicola insolita in quanto a trama e strategie del terrore, che ci auguriamo possa trovare una qualche forma di distribuzione anche in Italia.