Le luci e le ombre di Caravaggio
Qualcuno l'ha definita "l'ennesima prova di maturità della fiction italiana". E in effetti la miniserie su Caravaggio a livello di sforzo produttivo segna un buon passo avanti nel panorama televisivo italiano. Ad un cast di medio livello, guidato dal sempre un po' sopra le righe Alessio Boni, fa da contrappunto un livello tecnico e di maestranze di altissima qualità.
Viene riprodotto, seppur a livello televisivo, privo di quella cura cinematografica che forse sarebbe anche stata inutile e dispersiva, un sedicesimo secolo del tutto credibile, denso, non freddo, privo di quella carica espressiva della quale spesso le ricostruzioni destinate al piccolo schermo mancano, rendendo l'immedesimazione difficile, complicata.
Il Caravaggio di Angelo Longoni permette allo spettatore di immergersi in un 1577 del tutto credibile, tridimensionale, intersecando sapientemente immagini da set e scorci "ripuliti" della Roma reale.
Non a caso due grandi nomi dell'universo cinematografico (e non solo) si sono coinvolti nella realizzazione.
Le musiche sono firmate da Luis Bacalov, premio Oscar per la colonna sonora de Il postino del compianto Massimo Troisi, che riesce a conferire una certa profondità al girato anche attraverso la parte extra-diegetica del sonoro, cosa tutt'altro che semplice per un'opera del genere.
La fotografia porta l'illustre nome di Vittorio Storaro, uno dei grandi maestri mondiali del settore, fidato collaboratore di registi del calibro di Bertolucci, Argento, Coppola, Schrader, uno dei pochissimi, se non forse l'unico, a potersi confrontare senza timore reverenziale con un pittore che della luce e dell'inquadratura "fotografica" ha fatto uno dei suoi punti di forza, umano ed artistico. Il sotterraneo e costante lavoro di Storaro, la coreograficità di alcuni suoi scorci, che è punto di assoluta evidenza per chi come noi ha potuto visionare l'opera su un grande schermo, purtroppo verrà dispersa sullo schermo televisivo.
Se tecnicamente ed artisticamente lo spessore dell'opera è notevole, non la stessa cosa si può dire per l'impianto narrativo. La scelta è quella di affrontare la vita del pittore immortalando alcuni momenti significativi della sua vita, alcuni passaggi clou del suo percorso umano ed artistico. Questa scelta, che privilegia una visione d'insieme invece che il focalizzarsi su uno delle tante sfaccettature del grande artista, viene penalizzata e svilita dalla mancanza assoluta di un filo conduttore. Alessio Boni, la cui somiglianza con lo stesso autoritratto caravaggesco è a tratti impressionante, si muove in lungo e in largo per ampie e ariose sequenze, che catturano l'istante enfatizzandolo (a volte rischiando per questo di cadere nel grottesco), ma non permettendo una reale immedesimazione, un appassionarsi ad un aspetto del carattere dell'istrionico pittore.
In questo modo le singole scelte diventano parziali, astratte e decontestualizzate, tanto da provocare critiche perfettamente bipartisan, piovute sulla fiction sia dall'Arcigay che dall'Osservatore Romano.
Sicuramente dunque, una prova di maturità a livello tecnico-produttivo, una dimostrazione che la televisione, quando lavora con intelligenza e passione, può sfornare prodotti notevoli. Un lungo cammino ci aspetta ancora nel cercare di coinvolgere il pubblico televisivo tendando di non ricorrere all'enfasi spicciola del momento, ma partendo da una visione d'insieme della quale ci si possa appassionare e con la quale ci si possa lealmente confrontare.