Protagonista dei mesi più freddi, il cioccolato torna sempre utile per riscaldarsi e ritrovare il buon umore. Nella divertente commedia di Claudio Cupellini, sceneggiata da Fabio Bonifacci, il cioccolato serve al protagonista Mattia, interpretato da Luca Argentero, per mettere da parte il proprio arrivismo e ritrovare i valori più importanti della vita. Lezioni di cioccolato, ambientato a Perugia, in buona parte nella fabbrica storica della Perugina, racconta della nascita di una strana amicizia tra un geometra sfruttatore e un operaio egiziano che, dopo un incidente al cantiere dove lavorava, si prende la sua personale vendetta costringendo il suo datore di lavoro a frequentare un corso per cioccolatieri a suo nome. Luca Argentero si cala quindi nel duplice ruolo di sfruttatore e manovale, sperimentando in prima persona le difficoltà della vita da immigrato. Il film, in uscita nelle sale venerdì 23 novembre, è stato presentato all'Antica fabbrica di cioccolato di Roma. Erano presenti il regista Cupellini, lo sceneggiatore Bonifacci, e gli attori Luca Argentero e Hassani Shapi.
Claudio Cupellini, non è la prima volta che al cinema si parla di cioccolato. Pensiamo a film come Fragole e cioccolato, Chocolat, La fabbrica di cioccolato, etc. Quanto si è ispirato a queste pellicole nella realizzazione del suo film?
Claudio Cupellini: Senza presunzione, non mi sono basato sui precedenti, ma ho cercato di trovare in questa sceneggiatura qualcosa di personale che usasse il cioccolato per parlare d'altro. Magari tornano certe cose evocative come la morbidezza di Chocolat, ma sono tutte indirette. Io e Fabio, lo sceneggiatore, ci siamo confrontati sulla scoperta del cioccolato da bambini, su quando abbiamo capito che i cioccolatini potevano essere fatti anche in casa, e abbiamo quindi lavorato su questa meraviglia. Fare questo film è stato come trovarsi in un piccolo circo, dove si respirava una atmosfera incantevole che deve molto alla gioia e all'entusiasmo di tutta la troupe e degli attori.
Il suo film parla anche di lavoro in nero e immigrazione. Com'è riuscito a conciliare il registro comico col sociale?
Claudio Cupellini: Il rapporto sfruttatore/manovale in questo film è trattato in maniera leggera perché questa è una commedia. Non si parla solo di immigrazione e dei problemi sociali connessi al lavoro in nero, ma c'è anche una storia di amicizia tra due persone che vengono da paesi e culture diverse.
Fabio Bonifacci: Su questi temi ho riflettuto molto perché correvo un rischio a parlare di cose gravi con leggerezza. Ma il problema è cos'è la commedia? In Italia abbiamo una grande tradizione di commedia che è un peccato buttare. La commedia deve parlare di cose importanti e reali, con attenzione. Bisogna raccontare qualcosa con leggerezza, ma con un piccolo pensiero dietro e questo modo di affrontare certi problemi può essere più efficace rispetto al dramma.
Hassani Shapi: Io credo che certe volte sia più forte un film fatto in maniera leggera piuttosto che un dramma. Recentemente ho fatto sei film in Inghilterra nei quali interpretavo sempre il terrorista che ammazza le persone. E' questa la caricatura! Per me la sceneggiatura di Lezioni di cioccolato è molto forte perché sottolinea la possibilità di un'amicizia tra i due protagonisti così lontani tra di loro. Il piacere di interpretare un film del genere è quello di calarsi nel ruolo di una persona reale che può vivere in questo paese. E' il momento di vedere gli stranieri per quello che sono veramente.
Questo film è anche un tentativo di riflettere sulla provincia italiana?
Fabio Bonifacci: Sì, in questo film c'è un certo ragionamento sulla provincia italiana e la prima idea di questa storia mi è venuta da un paesino che frequento. C'era questo giovane che lavorava al Consorzio Agrario ed era una persona deliziosa, sempre disponibile, che ha trovato un altro lavoro, quello di consulente finanziario, ed è cambiato completamente, rinnegando radici, abitudini, piaceri e arrivando ad imitare i peggiori modelli della modernità. Mi sono chiesto se questo percorso non si stesse invertendo: ora è dal centro che i peggiori modelli si spostano in periferia per ritrovare le cose migliori. Così mi è venuta l'idea di Mattia, il protagonista del mio film che poco a poco prende coscienza dell'importanza del lavoro fatto bene. Volevo quindi anche esplorare il percorso di questo ragazzo improvvisamente trasformato che assorbe questi modelli, perché la storia lo frulla in un sistema di valori, quali la tenacia, la fiducia, la famiglia, il volontariato, eccetera. Alla fine Mattia si redime e se la storia era nata da un'osservazione sociologica, alla fine ci troviamo davanti a tutt'altro.
Luca Argentero, com'è stato interpretare il doppio ruolo dello sfruttatore Mattia e dell'immigrato Kamal?
Luca Argentero: Era un grande rischio per un attore giovane come me interpretare un simile personaggio, sia per il doppio ruolo che per l'accento egiziano con cui dovevo recitare. Quando lessi il copione per la prima volta risi dall'inizio alla fine e quando mi è stata assegnata la parte mi sono messo a lavorare sull'accento che mi è stato ispirato da Sayid, un personaggio di Lost, essendo io un fanatico della serie. Era l'unico appiglio immediato per non avere una parlata ridicola. Dopodichè il grosso motivo di discussione è stato sull'equilibrio da dare a questa cosa. Ci sono commedie americane alla Ben Stiller dove si vede che è tutto palesemente finto e noi ne ridiamo come tale. Dovevamo decidere quanto abbronzarmi, quanto calcare l'accento, e abbiamo voluto lavorare molto sul realismo, provando a fare commedia, ma anche ad essere veri.