Le Déluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta, meriterebbe molta attenzione. La meriterebbe per la capacità di Gianluca Jodice, che dirige e scrive insieme a Filippo Gravino, di sintetizzare al meglio il cinema dello spazio scenico, in un riverbero narrativo di incredibile attualità (rifacendosi ai dipinti del Settecento). Cento minuti precisi, che tra l'altro vantano come produttore associato pure Paolo Sorrentino, per un legame tra Italia e Francia che punta, decisamente, alla qualità. Più semplicemente, Le Déluge meriterebbe attenzione anche perché, banalmente, è un film estremamente cinematografico (presentato a Locarno ma, con tutto il rispetto, avrebbe meritato la Mostra del Cinema di Venezia) nella sua declinazione demure, come direbbero coloro più avvezzi agli inglesismi.
Non è scontato, oggi, puntare al cinematismo assoluto, in quanto spesso si suggerisce appena invece che raccontare per davvero, preferendo la sintesi all'approfondimento (un approfondimento legato al racconto, non alla veridicità dei fatti, sia chiaro). Opera seconda per Jodice, dopo aver rivisto D'Annunzio ne Il cattivo poeta (e dopo diversi documentari e corti), il suo è un film tutto d'un pezzo, pur volutamente e intelligentemente diviso in tre atti, ponendo la luce "sull'Apocalisse" intima dei suoi personaggi, resi archetipici nonostante si racconti, a volte in modo splendidamente visionario e metafisico, la sanguinosa caduta della monarchia nella Francia delle parrucche e delle ghigliottine.
Le Déluge: la caduta dell'Ancien Régime
Che sia un ottimo film lo capiamo, appunto, fin dall'inizio: l'immagine, austera eppure colma di luce e spazio, ci porta all'interno della Tour du Temple. Siamo nel 1792, quando Maria Antonietta (Mélanie Laurent, splendida) e Luigi XVI (Guillaume Canet, quasi irriconoscibile dietro la cipria e il parruccone) vengono scortati e rinchiusi nel palazzo in attesa del loro definitivo destino. Sono gli ultimi giorni di una monarchia merlettata e sgargiante, che un certo cinema (a cominciare dalla patinata fuffa di Sofia Coppola) ha rivisto nobilitando e romanticizzando dettami e immaginari. Eppure no, quella di Jodice ne Le Déluge è una caduta a tutti gli effetti. Un punto di vista nuovo, prendendolo letteralmente di petto: in un tempo che sembra rarefatto e immobile, viene riletta in modo puntuale la psicologia dei due reali, simboli di un regno mascherato, e mai tanto distante dal popolo.
Tra merletti, sovranità e ghigliottine
Fa quindi specie, oggi, sentire politici e politicanti parlare di "sovranità da difendere", se pensiamo alla sovranità capitolata di coloro rimasti aggrappati al trono, segnando di fatto il passaggio tra l'Ancien Régime e l'epoca moderna. In questo senso, cos'è la sovranità? A chi spetta? Ai re? Ai capi di Stato? Oppure invece spetta al popolo stesso, committente e mai servo del governo? Se propendiamo decisamente per l'ultima opzione, ci accorgiamo anche di quanto il cinema stia virando sempre più verso accenti politici, utilizzando icone e metafore per parlare in modo chiaro del presente. Per questo, Le Deluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta, smarcandosi agilmente dal dramma storico, diventa invece un riflesso novellizzato di un'epoca di transizione, riassunta in un film concepito dal regista seguendo tre atti: gli dei, gli uomini, i morti.
Una voglia dettata poi da un successivo cambio di messa in scena: cambia la luce, diventando via via sempre più nera (Daniele Ciprì alla fotografia); cambia la scenografia (grande lavoro quello di Tonino Zera), più sparuta, ormai decadente, e cambia l'approccio di Jodice rispetto alle figure protagoniste, facendole diventare quasi delle ombre appartenenti a un tempo già passato in attesa di un imminente rinnovamento (con un ruolo importante affidato alla colonna sonora di Fabio Massimo Capogrosso, in evoluzione rispetto ai tre atti). Una contrapposizione fluida, quasi organica, rispetto alla sceneggiatura, coraggiosa e meticolosa nello scandire i passaggi drammaturgici di una storia dai riverberi contemporanei: una disamina sussurrata ma potente di quanto un certo potere sia lontano dai popolo stesso, scoordinato rispetto ai bisogni primari fagocitati dai dogmi di uno status quo in attesa di essere, di nuovo, ghigliottinato.
Ed è emblematico che il passaggio storico rivisto e raccontato da Gianluca Jodice sia quello che, di fatto, ha aperto la prima pagina della Storia per come la conosciamo: un passaggio che smaschera(va) i limiti della sovranità, ma smaschera anche il limiti di una rivoluzione sociale e antropologica che, decapitando il Re e la Regina, ha anche legittimato la violenza politica di cui siamo adesso attoniti e impauriti spettatori.
Conclusioni
Quello di Gianluca Jodice è un film splendido come un dipinto del Settecento. La scelta degli spazi, dei colori, dell'alternarsi delle scene, in tre atti di assoluta esperienza cinematografica. Mélanie Laurent e Guillaume Canet sono perfetti nei ruoli, così com'è notevole il sottotesto scelto dal regista. Un sottotesto attuale e politico, che riflette sul senso del potere e della rivoluzione.