La vita scorre sotto la Diga delle tre Gole
La vera sorpresa di Venezia 2006 è la vittoria del film-sorpresa del giovane regista cinese Jia Zhang-Ke, classe 1970, semisconosciuto in Occidente o quasi, visto che due suoi lungometraggi erano già stati presenti in concorso al Lido nel 2000 e nel 2004. Illustre rappresentante del cinema cinese indipendente, inviso alle autorità per la sua capacità di fotografare con lucida sincerità la situazione della Cina contemporanea e i mali che la affliggono, il regista si concentra stavolta sulla costruzione della imponente Diga delle Tre Gole situata sullo Yangtze, mastodontico investimento del governo cinese che verrà ultimato solo nel 2009, e sull'impatto dell'opera sulla popolazione rurale sconvolta dai cambiamenti socioeconomici conseguenti all'edificazione della diga.
Fenjie, antico villaggio rurale cinese quasi completamente sommerso dal bacino della Diga delle Tre Gole, è il teatro di due storie di ricerca e di scoperta che corrono parallele senza mai toccarsi. Han Sanming è un minatore che torna al paese in cerca dell'ex moglie e della figlia di cui non ha più notizia da sedici anni. L'infermiera Shen Hong, invece, vuole ritrovare il marito che non vede da due anni e che si nega al telefono. Dopo un ultimo struggente ballo di fronte alla diga, la coppia, ormai in crisi, si lascerà definitivamente, mentre Han e la moglie torneranno insieme.
Diviso in sequenze contrassegnate da nomi di piccoli oggetti d'uso quotidiano (the, liquori, sigarette, caramelle...), piccole nature morte che illuminano con la poesia della quotidianità un'opera dal ritmo lento e meditativo, Still Life segue le vicende dei suoi due protagonisti a contatto con la popolazione sconvolta dai cambiamenti conseguenti la costruzione della diga (case sommerse, ricordi di una vita spazzati via per sempre dall'acqua, perdita del lavoro, emigrazione) e con i numerosi operai dei cantieri sorti per edificare il nuovo quartiere. Paesaggi sterminati sormontati da un cielo plumbeo e masse d'acqua immobili costantemente coperte dalla nebbia accompagnano le varie tappe del viaggio alla scoperta di un mondo che non esiste più, fatto di piccoli gesti quotidiani, di diffidenza e di solidarietà, di durezza e di nostalgia. Il tutto fotografato con uno stile che mixa oggettività documentaristica, grazie anche alla tecnologia digitale che permette grande libertà di movimento, e occhio incantato da questo mondo sommerso. Han e Shen si muovono nella nebbia come fantasmi che esplorano un universo sconosciuto, ma è solo l'acqua della diga che ha cancellato le cose note lasciando un paesaggio solitario e desolato da riscoprire con uno sguardo nuovo, quello di Han, ancorato al passato e alla tradizione, che sceglie di risposare la compagna del passato per ricominciare tutto da capo, e quello di Shen, capace di lasciarsi tutto alle spalle e di abbandonare il marito alla scoperta di una nuova vita.
Una nota piuttosto curiosa in un film che per la maggior parte è debitore dello stile asciutto e sobrio del neorealismo o del cinema-veritè: nei momenti più impensati, tra cui lo splendido finale con l'equilibrista che cammina sul filo teso tra i due palazzi prima del loro crollo, appaiono a squarciare il cielo misteriose luci aliene che illuminano la durezza del presente rivestendola della magia del mito e della leggenda. Potere del cinema.
Movieplayer.it
3.0/5