La violenza della libertà
Le prime immagini che ci vengono in mente quando si parla di violenza sono di atti espliciti e fisici. Ma non c'è solo quello, la violenza può essere anche sottile, duratura nel tempo e psicologica, e forse per questo più pericolosa e profonda. È quella che lascia i segni più profondi, soprattutto se praticata su bambini e ragazzi nell'età dello sviluppo, come accade al giovane protagonista di Low Tide.
Diretto da Roberto Minervini, Italiano trapiantato negli Stati Uniti, il film racconta la desolante vita di un ragazzino di dodici anni in un paesini del Texas, uno dei tanti piccoli centri rurali quasi invisibili sulle mappe.
Il ragazzo, di cui non ci viene mai detto il nome, è costretto a badare a sè stesso, a vivere una libertà che è anche costrizione, che poco a poco ferisce e lascia strascichi, a maturare più in fretta di quanto sarebbe giusto, fin troppo spesso a badare alla madre bisognosa di attenzioni dopo gli eccessi di una vita sregolata. Minervini ha un approccio realistico, gira con camera a spalla seguendo il ragazzo nelle sue attività quotidiane, dall'acquisto del ghiaccio al distributore al giocare con quello che trova, con animali e insetti, senza regole se non quelle della strada e della natura. La camera è posta spesso alle spalle del protagonista, e riesce a catturare la desolazione della sua esistenza.
Eppure, nonostante questo approccio e l'uso di attori non professionisti e dell'improvvisazione, le immagini di Low Tide, a cui hanno contribuito artisti già collaboratori dei Dardenne, sono di grande impatto visivo, curate e potenti, evocative ed al tempo stesso realistiche, e proprio per questo permettono allo spettatore di empatizzare con il protagonista e la sua situazione.
Movieplayer.it
3.0/5