La vergogna della tortura
Non può certamente più fregiarsi della qualifica di 'necessario' il documentario premio Oscar Taxi to the Dark Side, giunto in Italia con un anno di colpevole ritardo, che indaga sui metodi barbari e raccapriccianti con i quali si torturavano i presunti terroristi nelle carceri militari americane in Afghanistan e in Iraq, partendo da un tragico ed emblematico episodio. L'amministrazione Bush che ha gettato il mondo nell'oscurità e ha permesso la violazione sistematica dei diritti umani in nome di una sciagurata guerra al terrorismo è ormai passata lasciando dietro di sé la sua lunga scia di sangue, il velo sulle ingiustizie perpetrate tanto dai potenti come dai ragazzini dalla dubbia pietà, ma certamente senza esperienza, mandati allo sbaraglio sui campi di guerra così come nelle prigioni della vergogna, è già stato squarciato, e le verità emerse, sempre più agghiaccianti, sono state nel frattempo abbondantemente digerite. Eppure rivedere quelle foto che hanno alimentato il raccapriccio, ascoltare le testimonianze di chi si era reso responsabile di quelle infamie, sortisce ancora un effetto frastornate, che ci getta senza difese dentro le profondità più oscure della coscienza umana.
Dopo aver raccontato la storia di uno dei più grandi scandali finanziari di tutti i tempi in Enron - L'economia della truffa, Alex Gibney torna dietro la macchina da presa ancora affamato di verità. Lo spunto per questa sua minuziosa e approfondita indagine sulle torture glielo fornisce il caso del tassista Dilawar, un giovane (e onesto) afghano che cinque giorni dopo essere stato rinchiuso nel carcere di Baghram aveva perso la vita per i ripetuti colpi alle gambe inflitti dai suoi carcerieri, una vicenda portata alla luce dal giornalista Tim Golden sul "New York Times". Da quell'episodio, Gibney ricostruisce e mette insieme gli episodi di violenza che hanno contraddistinto la cattiva gestione della situazione, che trova nelle deliranti dichiarazioni dell'allora Vice Presidente degli Stati Uniti Dick Cheney l'incredibile sintesi di un vero e proprio abonimio: 'Bisogna eliminare le restrizioni, essere più duri, mettere da parte la Convenzione di Ginevra perché non riguarda i sospettati di terrorismo". Nessuna precisazione venne però dai piani alti circa le regole da seguire negli interrogatori e nella detenzione dei prigionieri. Da qui una confusione totale che legittimò le barbarie: privazione del sonno con la costrizione del carcerato in posizioni di stress, umiliazione sessuale, tecnica della frivolezza con aggressioni da parte di donne, clisteri, somministrazione di tre litri di liquido endovena, trattamento da cani, sospensione sensoriale che conduceva prima alle allucinazioni e poi all'esaurimento. Se ne trova davvero poca di umanità negli eventi raccontati da Taxi to the Dark Side e le giustificazioni ufficiali non si guadagnano mai la nostra fiducia: non c'è ignoranza che tenga, non c'è debolezza e confusione che giustifichi la crudeltà dell'uomo. L'indagine di Gibney arriva fino a Guantanamo, vero e proprio laboratorio scientifico comportamentale, dove gli abusi proseguirono indisturbati, fino allo scoppiare dello scandalo a colpi di foto. L'America esce da quest'opera a pezzi, la fallimentare vendetta degli Stati Uniti del dopo 11 settembre rivela qui tutta la sua portata disumana e amorale che dovrebbe far ricredere chi in quella terra ci vede ancora un Mito. Taxi to the Dark Side è un documentario rigoroso, preciso, anche se non particolarmente originale, né nel tema trattato, ormai ampiamente esplorato anche altrove, né nella sua composizione. Gibney mette insieme infatti fotografie e filmati già di dominio pubblico, frammentati da numerose interviste a prigionieri, guardie, avvocati e ufficiali. Sebbene però la conoscenza sull'argomento sia ormai ampia, a certe immagini e a quell'inevitabile sensazione di nausea di fronte a simili efferatezze non si può sfuggire. C'è da vergognarsi tutti.