Con la recensione de La veduta luminosa, nuovo lungometraggio del cineasta romano Fabrizio Ferraro, ci addentriamo nei territori della 71ma Berlinale, alla quale il film, selezionato nella sezione Forum, è stato l'unico rappresentante di finzione proveniente dal nostro paese. E a pochi giorni dalla prima mondiale in ambito online (stampa e professionisti hanno avuto modo di vederlo su un'apposita piattaforma il 2 marzo), ecco che, grazie a Rai 3, il pubblico nostrano ha l'occasione di vederlo: il film fa infatti parte di un omaggio, curato da Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto, all'opera di Ferraro all'interno di Fuori Orario, nella puntata che va in onda la notte tra il 6 e il 7 marzo. Un evento a tema dove, oltre a tre film del cineasta, tra cui il più recente, ci sarà anche una conversazione con lui. Occasione ghiottissima per approfondire un nome che agli spettatori generalisti risulterà poco noto (anche se quel tipo di pubblico, salvo per occasioni come Sanremo, raramente sta sveglio fino a notte fonda, nel qual caso c'è anche l'opzione RaiPlay).
Alla ricerca del poeta perduto
La veduta luminosa è la storia di un viaggio, dall'Italia alla Germania. A intraprendere quel viaggio sono il signor Emmer (Alessandro Carlini), regista disilluso, e Catarina (Catarina Wallenstein), l'assistente di un invisibile produttore. La loro destinazione è Tübingen, la città dove morì il grande poeta teutonico Friedrich Hölderlin, al fine di realizzare un progetto a lungo rimandato su uno dei più grandi pensatori della Germania. Ma lungo la strada non mancheranno gli ostacoli, che si tratti delle Alpi, della foresta o persino dello stato di salute di Emmer, il quale comincia a riconoscersi in Hölderlin, che continuò a comporre versi fino alla morte, anche dopo che gli era stata diagnosticata una forma di schizofrenia. I due viaggiatori arriveranno a destinazione? La ricerca dell'arte da trasporre in altre forme darà i frutti auspicati?
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Per veri intenditori
Fabrizio Ferraro, in un video girato per i frequentatori della Berlinale, parla con orgoglio della scelta di avvalersi solo delle risorse naturali a disposizione per quanto riguarda la componente visiva: "Non c'è color correction. Molti pensano che la luce si possa ricreare in post-produzione, ma è solo un duplicato all'interno di un bunker digitale." Con fare un po' dogmatico (nel senso danese e cinefilo del termine) egli accompagna i due protagonisti e mette in evidenza le meraviglie della natura, contrapponendo la vastità del mondo a ciò che sta attraversando intimamente l'individuo. Come suggerisce il titolo, la luce è un personaggio a pieno titolo, tant'è che sul set il cineasta e il direttore della fotografia hanno costruito un apposito macchinario affinché la luce non arrivasse mai direttamente all'interno dell'inquadratura. I livelli si sovrappongono, e dall'ambientazione moderna sembra quasi di spostarsi in un'altra epoca, più vicina a quella del poeta, di cui Ferraro è un grande appassionato ed esegeta (nel video di cui sopra, spiega come secondo lui il poema finale dell'autore anticipi per certi versi l'essenza del cinematografo).
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Il tutto diventa quindi una riflessione sullo sguardo, che sia il nostro nei confronti del mondo che ci circonda, quello di Emmer (nome squisitamente cinefilo, anche se il film non approfondisce più di tanto questo aspetto) che si dovrebbe trasformare nel progetto su Hölderlin o quello di Ferraro che esplora le possibilità del dispositivo luminoso. Una triplice riflessione ricca di sfumature e sottotesti che rendono il lungometraggio un ingrediente ideale del palinsesto di Fuori Orario, il cui celeberrimo sottotitolo è Cose (mai) viste (e va detto che, pandemia a parte, difficilmente un'operazione come quella di Ferraro sarebbe programmabile al di fuori della cerchia d'essai, che si tratti del cinema o di un contenitore televisivo come quello ideato da Enrico Ghezzi). Più difficile che riesca a fare breccia nel cuore di chi non conosce già l'opera del poeta e/o del regista, trattandosi di 88 minuti densi ed esigenti, ma molto appaganti con lo spettatore giusto.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione de La veduta luminosa, il nuovo lungometraggio di Fabrizio Ferraro che ha arricchito il programma della Berlinale 2021 prima di approdare sui piccoli schermi nostrani, ribadendo come si tratti di un viaggio criptico ma interessante alla scoperta di Friedrich Hölderlin.
Perché ci piace
- Il lavoro sulla luce è suggestivo e intrigante.
- I due protagonisti rendono bene l'atmosfera un po' irreale del progetto.
- La bellezza della natura arricchisce la componente tematica e visiva del film.
Cosa non va
- La visione può risultare ostica se non si conosce l'opera del poeta attorno a cui ruota la trama.