Tante volte ci rifugiamo nei libri, nei film, nei videogiochi, perché la fiction è così più interessante, emozionante, persino più vera della realtà, e il confronto con la nostra esistenza di tutti i giorni, che percepiamo spesso come banale, ripetitiva, frustrante, è impietoso. I personaggi di cui seguiamo i percorsi immaginari sono spesso più belli, più coraggiosi, più giusti di noi: ma ci piacciono anche i cattivi, perché hanno il coraggio di fare il male, e ne godono, e magari il male non si rivela una scelta poi così biasimevole. Gli abitanti della carta e della celluloide, gli uomini fatti di bit e poligoni sono liberi, hanno il potere di essere quello che vogliono (in parte, ma non del tutto in effetti, di essere quello che vuole farne il loro creatore), ed è quella perfetta libertà che invidiamo loro. Ma è anche vero che i personaggi a cui più ci affezioniamo sono quelli più simili a noi, quelli nei quali riconosciamo parte dei nostri difetti e pregi, quelli che ci fanno dire "come lo capisco!". Nell'ultimo mezzo secolo, il mezzo di comunicazione più vicino al grande pubblico è stata, e probabilmente, nonostante tutto, continuerà a essere, la televisione: è quindi logico pensare che tra realtà e fiction ci sia un rapporto di reciproca dipendenza. Ogni salto evolutivo della società ha trovato la sua declinazione sul piccolo schermo, ma anche quanto suggerivano gli eroi del network ha sempre stimolato una riflessione nel pubblico e, quindi, un cambiamento. Per questo è interessante l'approfondimento proposto dal Biografilm Festival, in cui l'uomo, la donna e il loro ruolo, tanto nel rapporto di coppia che all'interno di un contesto più ampio, vengono indagati, a partire dagli anni Sessanta per giungere fino a oggi, nel tentativo di riconoscere i modi e i momenti della loro trasformazione.
Guardando Sex and the City, o Desperate Housewives, o Grey's Anatomy, è evidente come la donna di oggi sia lontanissima dallo stereotipo di angelo del focolare che le è stato affibbiato, non senza una certa connivenza, per migliaia di anni. Julianna Margulies, protagonista di The Good Wife e una delle attrici che più hanno contribuito al dibattito proposto da Lloyd Kramer con i due documentari America in Primetime: Independent Woman / Man of the House - presentati nei giorni scorsi al BiograFilm Festival 2012 - afferma come sia sempre stato difficile, per la donna, uniformarsi al modello di perfezione plasmato dal maschilismo del secondo dopoguerra. La donna, assegnata alla cura della casa, era un manichino grazioso e sempre impeccabile, una brava cuoca, sorridente al ritorno a casa del marito, e che doveva fare in modo che il proprio compagno fosse fiero di lei: appunto, cucinando, sorridendo ed essendo carina. E, possibilmente, spalleggiando sempre il suo uomo. Non è un caso che una delle serie di maggior successo degli ultimi anni Cinquanta fosse proprio Papà ha ragione: una celebrazione dell'ineffabilità del maschio che, valigetta sempre in mano per attestarne la vocazione al lavoro (ma mai trascurando la famiglia), risolveva con una nonchalance che aveva del divino qualsiasi questione attanagliasse i figli o la consorte, guadagnandosene ogni giorno di più l'idolatria. Ma negli anni Sessanta questo modello familiare e sociale ha cominciato a mostrare il fianco: come giustamente sottolineato dalla Roseanne di Pappa e ciccia, non esistono famiglie così, e non sono mai esistite. Nella famiglia media si litiga, ci sono conflitti aperti, ma anche frecciate ironiche, dispetti, e magari i suoi membri sono anche un po' sovrappeso. Intanto, la donna non è disposta a farsi relegare sempre e comunque in un angolino, e questo lo aveva sancito già Lucille Ball, con la sua esilarante sit comedy Lucy ed io: donna volitiva, sempre determinata a emanciparsi, anche con i mezzi più improbabili, dal suo ruolo di secondo piano, Lucille ha aperto la strada ad altre donne del piccolo schermo, prima fra tutte Mary Tyler Moore. Lanciata dal Dick Van Dyke Show, e poi protagonista di una serie che portava il suo nome, Mary è il primo personaggio televisivo femminile realmente indipendente: separata, all'alba di una nuova vita, è a lei che si devono le più antiche allusioni a temi forti come la contraccezione o il femminismo. Ma, mentre inizia a cambiare la percezione che i network avevano della donna, e di conseguenza la sua traduzione in fiction, anche il maschio va incontro a un'evoluzione che ne ricalca la nuova realtà. Il capofamiglia non ha più sempre ragione, anzi, a volte è con una logica totalmente politically uncorrect, sopra le righe e proprio per questo molto più vera e vicina ai gusti del pubblico che afferma i suoi diritti ed espleta i suoi doveri di padre. Come il Bill Cosby de I Robinson, che con il suo sarcasmo, la sua palese attrazione sessuale per la moglie, una donna fatta e finita e non una mera spalla nel suo feudo, ha rivoluzionato il concetto di marito e genitore televisivo. Ma se Cliff, seppure senza l'aura quasi mistica dei suoi predecessori, riusciva comunque sempre a spuntarla, non così è per Ray Romano, star di Tutti amano Raymond, un protagonista che risulta invece molto più vicino ai mariti della Ball o della Barr, spesso messi all'angolo dalla verve delle loro compagne.L'uomo televisivo, con il passare del tempo, perde insomma progressivamente la propria infallibilità: scopre le proprie debolezze, le proprie ansie, la propria, in definitiva, umanità. Come Tony Soprano, o il Mad Men Don Draper, il cui privato è pieno di ombre, e ha ormai ben poco a che fare con quello dei loro antenati, sempre pronti a snocciolare risposte e soluzioni coerenti a ogni problema. Ma, grazie alla propria ritrovata sensibilità, l'uomo di oggi è tanto più affascinante, ricco, profondo: è un uomo che sa cambiare in meglio e migliorare, prendere in mano le redini della propria vita senza ipocrisie, senza dover corrispondere a un modello logoro, desueto, del tutto inapplicabile in un mondo complicato e difficile come il nostro. E' questo che ci fa amare Breaking Bad e Walter White, nonostante la scelta, sulla carta non certo impeccabile dal punto di vista morale, di guadagnarsi da vivere cucinando anfetamine: eppure, quello è il suo personale modo di mettere a frutto i propri talenti, di obbedire alle proprie responsabilità di padre.
Rimanendo in tema di droghe, è attraverso lo spaccio che anche una madre contemporanea decide di provvedere alla famiglia. La Nancy Botwin di Weeds è l'emblema di una donna assolutamente non angelicata, non sfrutta il suo spirito imprenditoriale per strappare un prezzo migliore al droghiere o per dissodare le erbacce del giardino con metodica efficacia, ma che sa adattarsi, scegliendo la soluzione più conveniente per se stessa e per i suoi cari, con intelligenza e razionalità. Decade il modello della donna sottomessa, è vero: ma la donna di oggi non è la declinazione moderna del deus ex machina maschile degli anni Cinquanta. Sarà anche il genitore dominante, o l'unico, ma la donna di oggi è anche piena di contrasti, di zone oscure, che la allontanano allo stesso modo dalla specchiata immagine della sua stessa tradizione. E' proprio per il suo cinismo, la sua sballata vita sentimentale, che l'infermiera Jackie Peyton ci piace tanto: non è un cucciolo indifeso e non è neanche il capobranco, ma è un essere umano reale, con le sue grandezze e le sue meschinità, la sua forza ma anche tante debolezze.L'uomo e la donna contemporanei hanno il diritto di non essere delle macchiette, perché spesso la vita è talmente complicata da renderci più difficile incasellarci in uno stereotipo rispetto al percorrere un'esistenza autentica: contraddittoria, assurda a volte, ma comunque nostra. Ed è ovvio che la fiction ricalchi questa realtà. Esasperandola, migliorandola, rendendola più accattivante di quanto non sia, come ha sempre fatto: e, oggi, con una profondità e una varietà che spesso non hanno niente da invidiare a quelle offerte dall'esperienza cinematografica.