Boris Lojikine ci aspetta, sorridente, in una sala del Cinema Greenwich, nel cuore di Testaccio. Con lui parliamo, ovviamente, del suo nuovo film, ovvero l'ottimo La storia Di Souleyman, ambientato, secondo la sua definizione, in una "Parigi che sembra New York". Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2024, e scritto da Lojikine insieme a Delphine Augut, il film racconta di un immigrato guineano (interpretato da Abou Sangare) che, nell'arco di due giorni, prova a prepararsi al meglio per il colloquio che gli permetterà di avere una richiesta di asilo. Intanto, prova ad arrabattarsi facendo da rider per le strade trafficate - e ostiche - della Ville Lumière.
Ovviamente, il contesto de La storia di Souleyman è alterato dal mondo dei rider che, per il regista, è "Un lavoro del passato, tornato negli ultimi anni. È molto contemporaneo. Oggi però è diverso, e la differenza la fanno le app e lo smartphone. Il telefono influisce il rapporto che si ha verso il mondo". Del resto, se pensiamo a Ladri di Biciclette, il parallelo è chiaro: "Dal mio canto, ho amato il neorealismo italiano, e il mio sogno è fare un film neorealista. Un po' Souleyman potrebbe esserlo. Però dico, ho conosciuto molti rider a cui hanno rubato la bicicletta, ma questo per loro non un dramma. La cosa drammatica è stare senza documenti".
La storia di Souleymane: un nuovo Neorealismo
Tra l'altro, La storia di Souleymane è assimilabile ad un altro film, questa volta italiano, che abbiamo visto alla SIC di Venezia 81, ovvero Anywhere Anytime di Milad Tangshir (qui la recensione), nel quale si racconta una vicenda che ha un rider protagonista. Un caso, oppure l'equazione che il cinema si sta accorgendo di questi lavoratori invisibili che popolano le metropoli? "Conosco il film di Milad, l'ho visto a Toronto. Ci sono scelte però diverse nel suo film, basti pensare alla musica, lì presente, e qui no. Non ho scoperto ora questi invisibili, e anzi nel mio primo film (Hope ndr.) ho parlato di due migranti in cammino verso l'Europa. Quello che volevo fare ora, tuttavia, era un film che fosse molto urbano, che raccontasse Parigi in un modo diverso, differente da come si racconta di solito. Una Parigi più brutale, che sembrasse New York, e per questo contemporanea".
La storia di Souleymane, recensione: ritmo e sostanza per un film profondamente attuale
Il lavoro sul sound design
Infatti, ciò che colpisce di La Storia Di Souleyman è il lavoro sul sound design, capace di amplificare il senso metropolitano. "Il suo è importante", spiega Boris Lojikine, "La prima cosa che abbiamo affrontato, antecedete alle riprese vere e proprie. La sfida era registrare il suono: le scene dovevano essere rumorose, e i dialoghi dovevano strutturarsi in luoghi pieni di confusione. Ci ha aiutato l'inverno: abbiamo messo un microfono sotto al berretto del protagonista, così da carpire meglio i dialoghi. Del resto abbiamo volutamente lavorato in condizioni estreme. Alla fine ci siamo ritrovati ad avere ottimo materiale, che ci ha permesso di lavorare bene a livello di montaggio. Questo è stato possibile perché in principio avevamo deciso di non avere musica nel film. I suoni e i rumori della città sono diventati la colonna sonora originale, una vera e propria musica".
E prosegue, "Il rapporto con il suono doveva essere dinamico, un sali e scendi molto rapido. E questo non solo per illustrare il film, ma per suscitare delle sensazioni nel pubblico. Ci sono momenti in cui bisogna tendere l'orecchio per sentire veramente e momenti in cui il suono ci dà uno schiaffone che arriva all'improvviso. E quello che importava per me era appunto dare delle sensazioni forti allo spettatore".