La rosa dell'Istria, la recensione: quando il dramma storico diventa un film tv patinato

La recensione de La rosa dell'Istria: l'esodo istriano nel film tv Rai con Gracjela Kicaj e Andrea Pennacchi (bravi), in cui "la storia da ricordare" si smorza dietro il linguaggio del melò.

La rosa dell'Istria, la recensione: quando il dramma storico diventa un film tv patinato

Tralasciando i perché, è poi il come a prevalere. Del resto, se ha già ampiamente fatto discutere, in un Paese profondamente diviso, e in un'epoca in cui le divisioni sono accelerate dalla visioni poco lungimiranti della politica (che lavora per slogan e per propaganda), La rosa dell'Istria è cinema televisivo all'ennesima potenza. Luce, struttura, spazio, storia. Cinema televisivo, rivolto al pubblico della prima serata, sempre accorto verso le storie vere che fanno parte dell'identità nazionale (pregi e difetti compresi). Per questo, la narrativa, prosegue in certe direzioni. Sembra scontato, ma finché c'è l'Auditel che segna numeri positivi, ogni giudizio lascia il tempo che trova. Ciò non toglie, che il giudizio strutturale, in chiave di recensione, deve tenere conto del prospetto filmico (televisivo) portato in scena.

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La Rosa dell'Istria: Gracjela Kicaj e Eugenio Franceschini in una foto dal set del film

In questo caso, portato in scena da Tiziana Aristaco, esperta regista dalla lunga filmografia, tutta incentrate su produzioni tv, che per La rosa dell'Istria si è ispirata al romanzo Chi ha paura dell'uomo nero? di Graziella Fiorentin. E il film, targato Rai (su Rai 1 il 5 febbraio), non riesce a distinguersi da altre produzioni similari, appunto legate a quegli eventi storici che, di per sé, avrebbero una potenza narrativa non indifferente, ma sfociata in un linguaggio probabilmente poco attinente alla scena contemporanea. Chiaro, bisogna considerare il medium scelto: la tv è uno strumento diretto, ed è direttissimo nei canali Rai; di conseguenza dialoghi, sequenze e profondità devono rapportarsi con una semplicità d'intenti, rivolgendosi ad uno spettatore-tipo che apprezza una prospettiva univoca, che non si sposta di un millimetro dal concetto di 'sceneggiato'.

La rosa dell'Istria: la storia vera di un esodo

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La Rosa dell'Istria: una scena

Scritto da Maximiliano Hernando Bruno, La Rosa dell'Istria ripercorre l'esodo istriano dei cittadini italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia, portata avanti alla fine della Seconda Guerra mondiale. Un esodo forzato, conseguente al massacro delle Foibe e conseguente all'avanzare delle forze jugoslave di Tito, successivo al trattato di Parigi che prevedeva la cessione alla Jugoslavia di alcuni territori italiani. Insomma, velocissimo bignami per contestualizzare la storia del film tv. In questo contesto, indicizzabile ne l945, seguiamo il percorso di Maddalena Braico (Gracjela Kicaj), insieme a quello della sua famiglia.

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La Rosa dell'Istria: una scena del film

Fuggendo da Canfanaro, i Braico trovano riparo a Cividale del Friuli, ospitati da zio Giorgio (Fauso Maria Sciarappa). Maddalena sogna di diventare un'artista, ma i tempi sono quelli che sono. Come se non bastasse, papà Antonio (Andrea Pennacchi), medico ma re-inventatosi operaio, è decisamente contrario all'idea. La vita di Maddalena, complicata nella nuova realtà (presa di mira per le sue origini istriane), cambia quanto incontra Leo (Eugenio Franceschini), che la spinge a perseguire i suoi sogni. Ma sono giorni instabili, e i Braico dovranno nuovamente trasferirsi.

La bravura del cast, dietro la patina di un film tv

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La Rosa dell'Istria: un'immagine del film

"Questa è una storia da ricordare", continuano a pronunciare i protagonisti de La rosa dell'Istria. Lo dicono di continuo, e in modo intrinseco, il film tv di Tiziana Aristaco sembra seguire pedissequamente l'esortazione dei personaggi. E si potrebbe poi approfondire la strumentalizzazione politica legata "ad una storia da ricordare". Del resto, è sempre la politica ad inficiare negativamente su certi avvenimenti (a posteriori), dimenticando che al centro della Storia non ci sono gli schieramenti, bensì le storie intime delle persone, spesso avvilite, dimenticate, defraudate della propria libertà e della propria identità. Se La rosa dell'Istria si concentra su di loro (e gli Ultimi devono sempre essere rispettati), non possiamo esulare il film dal pensiero nazionalista che sposta facilmente e superficialmente i fatti storici, con una appropriazione di comodo (come spesso accade) che dimentica lo stesso contesto che risuona in La rosa dell'Istria.

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La Rosa dell'Istria: una foto dal set del film

Il punto, però, è come viene raccontata questa "storia da ricordare" (sì, continuiamo ad utilizzare le virgolette): il film, concentrandosi sulla figura di Maddalena, con il sogno di diventare pittrice (strano contraltare, in un Paese in cui l'arte non è considerata una lavoro vero e proprio), si rivela un melò poco incisivo, affievolendo il valore drammatico della vicenda, e quindi depotenziando l'obbiettivo legato al "ricordo". Poi, potremmo considerare la bravura di Gracjela Kicaj (una sorpresa), che riesce a dare una certa dimensione al personaggio di Maddalena, e potremmo poi considerare la bravura di Andrea Pennacchi, una garanzia in qualunque momento e in qualunque situazione. Buon anche la colonna sonora di Mattia Donna & La Femme Piège. Un sound che, quando possibile, tinge di sfumature progressive rock una film tv fin troppo patinato.

Conclusioni

Come scritto nella recensione, La rosa dell'Istria parte da una pagina di storia italiana concentrandosi sul dramma di una famiglia costretta alla fuga. Un pretesto che, però, sfuma nell'architettura marcatamente televisiva, trasversale ma ancorata ad una messa in scena patinata che sfocia nel tipico sceneggiato da prima serata. Bravi gli interpreti, su tutti Gracjela Kicaj e Andrea Pennacchi.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La bravura di Gracjela Kicaj e Andrea Pennacchi.
  • Il valore oggettivo del dramma.

Cosa non va

  • Il linguaggio del melò, funzionale in tv ma poco adatto in un contesto simile.
  • La patina generale, che depotenzia il dramma stesso.
  • Una certa ridondanza che finisce per essere didascalica.