La resistenza della passione
Se c'è una cosa che non manca di certo ad Ang Lee è la volontà di rischiare, di provare a stupire e spiazzare ogni volta con un film sempre nuovo, nel quale emozioni e sentimenti non sono mai uguali a quanto già detto in precedenza. Due anni dopo il trionfo alla Mostra di Venezia di quel I segreti di Brokeback Mountain premiato tra l'altro con il premio Oscar per la miglior regia, il regista di Taiwan torna al Lido con una spy story in mandarino che mette in primo piano volti, corpi e pulsioni di esseri umani impegnati in una travolgente storia d'odio e passione nella Cina degli anni 40, quella che sotto l'occupazione giapponese cerca timidamente di rialzare la testa per la conquista della libertà. Tra spietati collaborazionisti e intraprendenti membri della Resistenza, il motore del racconto è un serrato duello uomo/donna a forte carica passionale che rischia in ogni attimo di diventare una struggente storia d'amore, ma ha l'accortezza di fermarsi sempre prima, comandato da due personaggi che si studiano, cercano di mantenere il controllo degli eventi per non lasciarsi travolgere da emozioni che li spazzerebbero via.
Impeccabile nella ricostruzione storica e senza inutili pomposità di sorta, Lust, caution, tratto da un racconto breve di Eileen Chang, convince perché racconta con un equilibrio magistrale di toni l'infuocato incontro di un uomo e una donna, entrambi custodi di segreti e infamie, senza scivolare mai nella prevedibilità, perché vibra di passione nelle sue due ore e mezza senza i ricatti del melodramma e pur con i sentimenti che i suoi protagonisti sono costretti a trattenere, evitando di elemosinare quella facile lacrima che in questo tipo di storie è sempre dietro ogni sequenza. Regge bene l'impianto politico mai didascalico che sottende la storia e dà ancora maggior vigore al susseguirsi degli stati d'animo in campo e alla tensione erotica che attraversa tutto il film, nella duplice battaglia che impegna i due protagonisti, quella con sé stessi e quella con l'altro. Le chiacchieratissime scene calde sono esplicite, ma mai gratuite, disegnate ad arte da Lee eppure mai fasulle, e donano al film un'incredibile forza che sottolinea il drammatico percorso dei due amanti, lo sfogo di quella rabbia che covano dentro, un'aggressività che può essere esplicitata solo nell'incontro sessuale.
Il regista di Taiwan è un maestro nel far scatenare le pulsioni dei suoi protagonisti, pur tenendole sempre sotto controllo, non trascinandole mai nel patetico. La sua regia, frenetica nelle battute iniziali con rapidi movimenti di macchina ad introdurre subito lo spettatore nel cuore dell'epoca e della storia narrata, non prende mai il sopravvento su quel che viene raccontato e non risparmia nulla allo spettatore, con un paio di scene altamente brutali (l'omicidio dell'autista dell'uomo da parte dei membri della resistenza, il primo incontro sessuale tra i due amanti dalle tinte sadomaso) portate sullo schermo con un carico emozionale davvero stupefacente. Ma un altro dei meriti di Ang Lee è la sua incredibile capacità nel dirigere gli attori, sempre pronto com'è a cogliere l'attimo, l'espressione fugace, la fragilità e la forza dei suoi protagonisti, anche se il suo compito è facilitato da un cast semplicemente straordinario. A brillare è soprattutto l'esordiente Tang Wei, vero cuore del film, donna-simbolo di una fragile resistenza convinta di raggiungere il proprio obiettivo trascinando il mostro in una trappola pericolosa, ma nella quale finisce anch'essa impigliata per le ovvie ingenuità di chi vuol rispondere alla violenza con altra violenza. Impeccabile come al solito Tony Leung Chiu Wai che dona al suo personaggio una ferocia e una convinzione che solo un grande attore come lui può maneggiare senza eccessi. Evitando saggiamente di sciogliere tutti i sottintesi, Lee confeziona inoltre un finale di rara bellezza, che chiude un film decisamente riuscito.