Uscito negli Stati Uniti lo scorso 24 giugno, Paradise Beach - Dentro l'incubo ha diviso in maniera piuttosto netta la critica a stelle e strisce tra chi l'ha apprezzato e giudicato coinvolgente e chi invece l'ha trovato poco interessante e persino ridicolo.
Tra i principali detrattori si è schierato anche l'influente e assai rispettato critico di The Hollywood Reporter Todd McCarthy, il quale in apertura di recensione ha sbeffeggiato il film giocando sul titolo originale The Shallows. Se infatti al plurale il termine in questione significa "secche" (l'alta e la bassa marea hanno un ruolo centrale nella seconda parte del film), al singolare può essere tradotto anche come "superficiale", "futile", "vuoto".
Paradise Beach - Dentro l'incubo ha ottenuto però un buon successo di pubblico, guadagnando solo in patria 54 milioni e mezzo di dollari al botteghino dopo esserne costati appena 17.
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La ragazza e lo squalo
La storia del film sarà pure scarna e molto semplice, come da copione per film del genere, ma non per questo particolarmente banale o irritante come scritto da più di qualcuno oltreoceano. La giovane e affascinante Nancy Adams ha lasciato gli studi di medicina e si trova in Messico con l'obiettivo di trovare la spiaggia dove la madre, da poco morta di tumore, si era recata quando incinta di lei. Raggiunto questo meraviglioso luogo di cui per anni aveva sentito parlare con passione, la ragazza decide di surfare tra le onde dell'Oceano e godersi appieno quel momento che le consente di sentirsi ancora vicina al genitore scomparso. In quelle acque, però, si nasconde uno squalo di enormi proporzioni, assetato di sangue e pronto a colpire.
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Una buona messa in scena e qualche passaggio a vuoto
Per quanto abbia senz'altro dei passaggi meno convincenti di altri (la protagonista che, mentre si sutura la ferita o si applica una fasciatura, parla ad alta voce tra sé e sé come fosse un medico alle prese con un paziente) e qualche idea non particolarmente riuscita (il rapporto un po' forzato tra lei e il gabbiano, il finale che arriva con qualche minuto di ritardo), Paradise Beach nella sua ora e venti minuti di durata si rivela in grado di intrattenere lo spettatore più che dignitosamente, senza alcun tipo di pretesa. Nella prima mezz'ora, in particolare, il regista Jaume Collet-Serra è abile nel creare una costante atmosfera di tensione, facendo ricorso a un'efficace e piuttosto rapida alternanza di inquadrature dall'alto, immagini subacquee, primi piani e dettagli del corpo di Blake Lively.
Il valore narrativo delle sovrimpressioni
Dal punto di vista visivo, il film colpisce poi per le inconsuete sovrimpressioni delle schermate del cellulare e dell'orologio di Nancy. Così, all'interno delle immagini si aprono in più occasioni finestre laterali con i volti del padre o della sorellina con cui la ragazza parla al telefono, con foto presenti nello smartphone guardate dalla protagonista o con il cronometro dell'orologio che fornisce un punto di riferimento temporale rispetto al sopraggiungere dell'alta o della bassa marea e del metodico squalo. Questi espedienti visivi risultano interessanti in quanto non sono fine a se stessi ma hanno un valore narrativo: nel caso del cellulare permettono alla protagonista di interagire con i familiari e al film di creare delle piccole, fondamentali dinamiche drammaturgiche; nel caso dell'orologio invece, soprattutto quando viene mostrato l'inesorabile scorrere dei secondi che segnala l'avvicinarsi dello squalo, aumentano il livello della suspense.
Un intrattenimento di buon livello, con un'ottima Blake Lively
Al netto dei difetti già menzionati e partendo dal presupposto che siamo di fronte a un film in grandissima parte già visto, Paradise Beach risulta però discretamente costruito anche sul piano narrativo. La struttura circolare del racconto a cui ormai tanti film contemporanei fanno ricorso per coinvolgere con maggiore intensità lo spettatore, così come l'uso di alcuni tradizionali codici di genere, funzionano infatti piuttosto bene. In più, la carismatica e sensuale Blake Lively è capace di caricarsi l'intero film sulle spalle, rivelandosi sempre credibile nei numerosi momenti in cui si trova da sola in scena. Con tutti i suoi limiti insomma, non da ultimo il posticcio finale consolatorio, Paradise Beach è un thriller piuttosto appassionante e ben confezionato che può tranquillamente valere una visione al cinema in questa parte conclusiva dell'estate.
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3.0/5