Alberi che camminano: il linguaggio universale dei boschi

Ideato da Erri De Luca, e presentato nell'ambiro del Trento Film Festival, quello di Mattia Colombo è un documentario che parla un linguaggio semplice, all'insegna dell'essenzialità, ma a cui non mancano fascino estetico e pregnanza di contenuti.

"Vedo gli uomini come alberi che camminano". Da questa frase del Vangelo di Marco, attribuita al cieco di Betsaida (a cui Cristo ridona la vista) prende spunto Erri De Luca per questo suo progetto, che abbraccia in 59 minuti il cinema, il documentario antropologico e la poesia. Non è la prima volta che De Luca, dal suo punto di vista laico, si rifà a testi della tradizione cristiana; e non è la prima volta che il suo mondo arriva al cinema, con la traduzione in immagini della sua vena evocativa.

Alberi che camminano: un'immagine del documentario di Mattia Colombo
Alberi che camminano: un'immagine del documentario di Mattia Colombo

Quello ideato dallo scrittore napoletano, e diretto da Mattia Colombo, è tuttavia un progetto peculiare, pensato appositamente per l'audiovisivo, percorso dall'attitudine poetica dello scrittore, ma con i piedi (o le radici) piantati saldamente in terra: precisamente, nelle tante realtà, sparse per il paese, che nella produzione e nell'utilizzo del legname sperimentano un diverso rapporto con l'ambiente e le sue risorse.

Era quasi inevitabile, dato l'argomento dell'opera, la presenza di Mauro Corona, amico di De Luca e profondo conoscitore della materia; ed era quasi inevitabile la presenza del film (e dei due scrittori) in una manifestazione come il Trento Film Festival, naturalmente affine all'universo raccontato, luogo di fruizione ideale per un film con questi temi. Un'opera capace di parlare un linguaggio semplice (quello dei boschi e delle comunità che li abitano) senza risultare semplicistica, chiara negli assunti di base ma non priva di lirismo e fascino estetico.

Il linguaggio e l'estetica

Erri De Luca e Mauro Corona in un'immagine del film Alberi che camminano
Erri De Luca e Mauro Corona in un'immagine del film Alberi che camminano

Lo stesso Corona ha definito Alberi che camminano un film "sottovoce", e la definizione ci sembra quantomai adeguata: il documentario diretto da Colombo parla infatti il linguaggio dell'essenzialità, di temi dalla valenza universale esposti in modo chiaro, ma mai urlati. Non esiste nulla di più universale, d'altronde, del rapporto dell'uomo col territorio che abita, e in particolare del suo approvvigionarsi da una fonte (quella degli alberi) tanto antica quanto naturalmente "resistente". È nel segno della semplicità, quindi, la messa in scena e il racconto per immagini che il regista fa delle tante comunità e realtà visitate, dalla Onlus che si occupa del reinserimento dei detenuti alla bottega di un artigiano capace di assemblare una moto utilizzando esclusivamente legno. La videocamera si sofferma sui rituali quotidiani, su vite esperite in ambienti geograficamente vicini alle metropoli che lo spettatore conosce, quanto lontani nella concezione dell'esistenza; il risveglio, le procedure di abbattimento degli alberi e il ciclo di lavorazione del legno, gli oggetti che lentamente prendono forma e consistenza, la simbiosi di queste vite con un ambiente che le circonda e insieme le definisce. Contemporaneamente, la voice off di De Luca, mai invadente, dà vita all'anima più lirica del film, si unisce alle immagini degli esterni, le sottolinea senza sovrapporvisi: dando corpo a una componente più emotiva, sempre sussurrata, capace di parlare alla memoria affettiva dello spettatore, entrandovi in risonanza in modo a volte inatteso, sempre efficace.

La valenza dei contenuti

Un'immagine del documentario Alberi che camminano
Un'immagine del documentario Alberi che camminano

La scelta nel senso dell'essenzialità e dell'allusione, più che della dichiarazione esplicita, di un film come quello di Colombo non toglie nulla alla pregnanza dei suoi contenuti, a una valenza essenzialmente politica che emerge chiaramente dalle storie che racconta. Alla base c'è un ambientalismo che non declama assunti, che non lancia anatemi, evitando un mero rifiuto della modernità; ma che al contrario mostra una via concreta e possibile a un rapporto diverso col territorio, e a una sua utilizzazione in chiave razionale ed "economica". Le storie di Alberi che camminano non vivono nelle utopie, anche se non escludono mai la tensione verso di esse; ma partono da mondi possibili, da esperienze di vita e lavoro concretamente sperimentate, funzionali e razionali. Quando il mondo esterno fa irruzione nel racconto, attraverso lo schermo di un televisore (che mostra le proteste contro il taglio degli alberi in Gezi Park, a Istanbul) ci si accorge di quanto sia necessario restare nella modernità, seppur allo scopo di modificarla. E ci si rende conto, ancora una volta, di quanto un'opera come questa sia quanto di più lontano da un prodotto tematicamente ed eticamente autoreferenziale; ma di come al contrario mantenga un canale aperto con la realtà, con le esistenze di chi vive lontano dai boschi mostrati, ma del loro respiro si nutre, quotidianamente e (troppo spesso) inconsapevolmente.

Movieplayer.it

3.0/5