La legge della natura è severa ma insindacabile, e generalmente si muove su un principio base comune ad ogni specie: il più forte sopravvive. Succede anche sulle cime delle alpi europee, dove due fratelli aquila si trovano a dover combattere per la sopravvivenza. Il più forte riesce a conquistare il nido, ma al più piccolo viene data una seconda possibilità grazie a Lukas (Manuel Camacho), un giovane e silenzioso ragazzo che alle spalle ha la morte della madre e un padre che non riesce a comunicare, ed esprime il suo dolore con religioso e ostile silenzio.
Uomo e animale si uniscono e si salvano a vicenda, mentre Lukas con l'aiuto del custode dei boschi (Jean Reno) alleva e addestra la piccola aquila a cui dà il nome di Abel, dopo aver letto della leggenda di Caino e Abele. Inizia così una piccola avola di amore, fratellanza e speranza, che racconta del ritrovare il proprio posto nel mondo e combattere per il proprio destino, con fierezza e determinazione.
A colpire molto di Abel il figlio del vento è soprattutto lo spettacolare lavoro fatto dai due registi, Otmar Penker e Gerardo Olivares: il primo, acclamato documentarista, unisce la sua esperienza nel campo delle riprese in ambienti naturali e alpini con il racconto del secondo, che aggiunge alle immagini la storia di Lukas e Abel, rendendo l'intera pellicola un percorso affascinante e intenso adatto ad ogni età. L'adulto gode delle spettacolari immagini e il bambino si immerge nella storia dei due piccoli protagonisti, un racconto semplice ma funzionale che si integra perfettamente alle immagini reali, girate con una sensibilità e un'attenzione al dettaglio davvero sorprendenti.
Tra favola e realtà
Fin dalle prime immagini, la sensibilità di Otmar Penker e la sua attenzione ai dettagli danno vita alla storia, riuscendo ad umanizzare ogni dettaglio della natura che, proprio grazie alla sua attenzione, riesce a prendere vita e a diventare parte integrante della storia. Gli animali sono personaggi, nei loro dettagli e nella loro espressività comunicano con sguardi e versi, tanto che si fa fatica a credere che siano riprese reali. A colpire in particolare è proprio l'aquila Abel, che viene ripresa in più momenti e in diverse situazioni atmosferiche, grazie non solo a campi lunghi ma anche a riprese più dettagliate che entrano nel cuore delle sensazioni dell'animale, dai primi momenti di vita alle difficoltà del crescere - nutrirsi, ambientarsi, saper volare. L'integrazione con il paesaggio completa il percorso e riesce a far interagire le due parti del film in maniera ottimale, senza mai perdere di credibilità.
Un immaginario semplice
Se le immagini e la parte documentaristica convincono a pieno, riesce ad essere sicuramente meno interessante la sceneggiatura, che viaggia al contrario su binari più semplici. La prima parte prova a risultare indubbiamente più forte, complice il rapporto di crescita alternata di Lukas e Abel, che incrociano i loro mondi e i loro destini aiutandosi a vicenda nelle reciproche difficoltà. L'innocente determinazione di Manuel Camacho, spesso ripreso in dettagli e primi piani, riesce ad incollare lo spettatore al suo destino e ad empatizzare con la sua situazione, soprattutto il suo progressivo riavvicinamento alla vita che un fuoco aveva minacciato di bruciare per sempre. La parte centrale purtroppo risente della lontananza tra i due protagonisti, e non riesce a mantenere il giusto ritmo rispetto alla precedente, lasciando che la pellicola scivoli verso un finale chiaramente prevedibile che, non supportato a dovere in precedenza, non trova le emozioni che avrebbe potuto scaturire grazie ad un lavoro di sceneggiatura più corposo. Rimane comunque un lavoro interessante e adatto ad ogni età, e che soprattutto grazie ad un'ottima regia combinata riesce a mantenersi su un buon livello qualitativo.Movieplayer.it
3.0/5