Ci sono film che fin dalla loro nascita sembrano possedere tutte le carte in regola per fare breccia sullo spettatore: La nostra terra (The Peasants - Chlopi) è uno di questi. Adattamento di un romanzo valso un Premio Nobel, è realizzato da DK e Hugh Welchman, i registi dietro quella splendida opera visiva che è Loving Vincent, un lungometraggio che all'uscita aveva colpito piacevolmente per la laboriosa e suggestiva tecnica di animazione: una perfetta fusione tra arte pittorica e rotoscopio, perfetta per raccontare van Gogh in una storia ambientata dopo la sua morte.
Ed è proprio questo tipo di tecnica che è stata scelta anche per questo nuovo film, al cinema il 2, 3 e 4 dicembre, che però racconta una vicenda contadina ambientata nella campagna polacca del XIX secolo, la storia di una donna e del minuscolo villaggio in cui vive, un microcosmo fatto di tradizioni e fatica, nel quale però la lingua può fare decisamente più male della spada.
La nostra terra: un dramma contadino
Seguiamo quindi la vita di Jagna, una giovane bellissima che vorrebbe decidere della propria vita senza le ingerenze di parenti e vicini. Quando però un ricco mezzadro vedovo si interessa a lei, sua madre non le lascia scelta: dovrà sposare l'uomo ormai anziano poiché l'unione gli garantirà possedimenti e sicurezza economica. La donna rimane così intrappolata in un matrimonio che non desidera, con un uomo che ha altri figli già adulti, uno dei quali si invaghisce, corrisposto, di lei. Tra la freddezza della famiglia di suo marito e le voci sempre più insistenti che la dipingono come una prostituta, per Jagna inizieranno tempi difficili, nei quali ogni desiderio sembra venire calpestato.
Condensare per adattare
La nostra terra è una storia semplice che si pone però l'obiettivo di raccontare la complessità della miseria umana, adattando un romanzo piuttosto corposo in poco meno di due ore. E si cela proprio qui la principale problematica del film: nel condensare la sceneggiatura perde di forza e profondità proponendo una narrazione sbilanciata che si dilata e gira a vuoto nella parte centrale. A poco serve la divisione in capitoli, quattro come le stagioni che segnano l'incedere della tragedia nella vita di Jagna, utilizzati anche per dare ritmo alle vicende, ma che alla fine finiscono solo per rimarcare il passare del tempo in maniera non troppo incisiva.
Desideri, speranze, passioni e amore mutano al mutare delle stagioni in un flusso narrativo che tiene sempre al centro la protagonista, ma che ha stavolta il pregio di tratteggiare a sufficienza anche i personaggi secondari, forse piuttosto stereotipati, ma assolutamente coerenti con lo sviluppo delle vicende e utili a spingere quella che poi diviene la tematica principale del lungometraggio: la condizione femminile e la negazione di libertà fondamentali in nome di sopravvivenza e tradizioni, usanze che vedevano le donne come oggetti di cui disporre, esseri umani da spersonalizzare e plasmare a seconda delle necessità non solo dei singoli, ma della comunità intera.
Le immagini come punto di forza
A monopolizzare l'attenzione dello spettatore, però, sono inequivocabilmente le immagini. L'utilizzo di uno stile pittorico, già apprezzato in Loving Vincent anche qui affascina e rapisce in un turbinio di colori e immagini notevolmente dinamiche. Ovviamente nel film dedicato alla figura di Van Gogh l'impatto emotivo suscitato dal vedere lo stile del pittore prendere vita rimane per ora ineguagliabile ma, anche in questa nuova pellicola, pur con minore incisività, convince. Durante la visione non si riesce a non pensare all'enorme lavoro dietro ad un opera del genere che in quasi due ore non vede nessun calo nella qualità tecnica. Uno sforzo produttivo enorme, quindi, per un film che smarrisce la strada sul sentiero del dramma e che finisce per raccontare una storia estremamente convenzionale in modo, invece, poco convenzionale.
Conclusioni
La nostra terra è il nuovo film di DK e Hugh Welchman che dopo Loving Vincent tornano a ad unire rotoscopio e arte pittorica per raccontare stavolta un dramma contadino. La sceneggiatura, però, non convince: nell’adattare, condensando, il corposo romanzo omonimo si perde nella parte centrale girando a vuoto. A colpire maggiormente, infatti, sono ancora le immagini, vere protagoniste del film e frutto di uno sforzo artistico e produttivo notevole che è impossibile non apprezzare.
Perché ci piace
- Le immagini, suggestive e dinamiche.
- La tecnica utilizzata, interessante e ben realizzata.
- Le tematiche.
Cosa non va
- La sceneggiatura poco equilibrata.
- Nel condensare le vicende si perde in profondità.