E' stata una cornice insolita, quella che ha accolto l'incontro stampa con cui Daniele Gaglianone, Valerio Mastandrea, la co-sceneggiatrice Claudia Russo e il produttore Gianluca Arcopinto (accompagnati dal folto gruppo di "allievi" del film) hanno presentato alla stampa La mia classe. L'uso dello spazio sociale autogestito ESCAtelier, sito nel quartiere San Lorenzo di Roma, è coerente coi temi del film e con quella che sarà la sua filosofia distributiva: un'uscita differita in varie città, preferita alla contemporaneità del mainstream, un'attenzione maggiore alla collocazione in circuiti al di fuori della grande distribuzione, la scommessa sull'acquisto del film da parte delle scuole. Dopo la presentazione nel corso dell'ultima Mostra del Cinema di Venezia, dov'è andato a collocarsi nelle Giornate degli Autori, il film di di Gaglianone si prepara così a vivere una vita cinematografica insolita, ma in fondo in linea col suo carattere "decentrato"; quello di un cinema quasi sperimentale portato sul terreno delle grandi uscite, con la sua fusione di documentario, dramma sociale, meta-cinema. Un esperimento che regista, protagonista, sceneggiatrice e produttore hanno diffusamente illustrato ai tanti giornalisti presenti, difendendone con vigore le peculiarità.
Valerio, tu interpreti l'insegnante di un Centro Territoriale Permanente, che svolge l'attività di insegnamento per quegli immigrati che vogliono ottenere il permesso di soggiorno. Conoscevi questa realtà, prima?
Valerio Mastandrea: No, prima non conoscevo questo mondo: ma Claudia Russo, la co-sceneggiatrice, insegna proprio in un CTP, e quindi c'è stato modo di parlarne. Anche ieri, mentre tornavamo da Milano, mi ha raccontato un po' di questa realtà, e devo dire che rappresenta un "precariato" interessante. Per il film ho fatto una ricerca approfondita, volevo vedere come lavorano gli insegnanti di ruolo. Prima non sapevo neanche dell'esistenza di una legge che impone agli immigrati di imparare l'italiano, per ottenere il permesso di soggiorno.
Ancora non riesco a parlarne, è un discorso che possiamo fare solo a metà. Già con la prima versione della sceneggiatura, per parlare del film si imponeva un discorso che andasse oltre il personaggio. Tutti abbiamo vissuto in maniera diversa ognuno dei nostri ruoli.
Avevate in mente fin dall'inizio di mostrare il set cinematografico?
Daniele Gaglianone: No, questo non apparteneva all'idea iniziale. Abbiamo deciso di farlo poco prima di iniziare le riprese, visto che due settimane prima era successa una cosa che non avevamo potuto immaginare: a uno dei ragazzi era stato tolto il permesso di soggiorno. Dal punto di vista formale non potevamo più farlo lavorare, e ci sentivamo a disagio per questo; anche se poi il problema è stato risolto, non potevamo buttar via questo disagio. La cosa ci ha fatto riflettere, e allora ci siamo detti: "facciamo finta che questo sia successo durante le riprese, facciamo finta di esserci comportati in modo opposto a quello che abbiamo adottato: seguiamo le regole". Mostrare il set era il miglior modo per far sì che lo spettatore fosse indotto a pensare che quello che vedeva stesse succedendo sul serio.
Il film si svolge dentro un CTP, e descrive una situazione grave, con una precarietà notevole. Perché non approfondire la realtà di queste strutture, e le loro difficoltà?
In generale, ci sono cose che abbiamo girato e abbiamo scelto di tener fuori: quando uno decide di raccontare una storia, deve forzatamente lasciare fuori qualcosa. Per esempio, c'era una scena in cui Valerio faceva una bella lezione sullo ius soli, ma abbiamo deciso di eliminarla: sarebbe diventato quasi in instant movie, la brutta copia di un dibattito televisivo. Certo, potevamo dire una frase sull'argomento dei CTP, ma credo che il punto del film sia un altro: non è un film sulle problematiche della scuola. Sicuramente ci saranno sfuggite delle cose, ma credo che questo succeda sempre, quando ci si infila in un problema spinoso come questo.
Claudia Russo: Abbiamo fatto una lunga discussione, per decidere se girare il film in un CTP o in un'associazione di volontariato, ovvero la parte "off" di quelle realtà che svolgono quest'attività di insegnamento. Il CTP è l'unica struttura statale deputata a svolgerla. Valerio, in quel momento, rappresenta l'istituzione, ma si trova lui stesso immerso in questa realtà. Io ero tra quelli a favore dell'idea di girare in un'associazione, ma alla fine credo che quella che abbiamo scelto possa essere una soluzione forte; perché fa avvicinare il pubblico per gradi. Il film è diventato poi essenzialmente voce dei ragazzi, la loro presenza è divenuta dominante: il film era stato pensato molto diversamente, la sceneggiatura è praticamente saltata, ma ben venga.
Cosa potete dirci sulla strategia distributiva del film?
Gianluca Arcopinto: Il film è già uscito a Milano: ci siamo un po' stufati dei meccanismi classici, ovvero in quante copie uscire, in quale weekend, ecc. Ho pensato che era inutile che ci stessimo ad arrovellare: avevamo alcune proposte da distributori "di sistema" ma le abbiamo rifiutate. Il nostro è un piccolo film fatto rischiando, abbiamo deciso di percorrere altre strade: il film avrà questa vita che sarà dignitosa, abbiamo date prefissate in varie sale, senza cercare la contemporaneità. A Milano, per esempio, è uscito sabato scorso, a Roma e Torino uscirà il 23: vogliamo occupare spazi e tempi giusti per il film. È un film in cui ci sono tante teste pensanti, c'è la Kimerafilm, Valerio, la Rai. Ci abbiamo messo un po', forse poteva anche uscire un po' prima; è stata mia la responsabilità di non aver preso subito la strada che avevo in mente. Ma penso sia quella giusta, non volevamo uniformarci a un meccanismo che ha ucciso il cinema italiano.
Dal punto di vista produttivo, il film ha comportato difficoltà particolari?
In questi giorni io compio 30 anni di lavoro: prima di venire quei, sono andato a correre come faccio ogni mattina, mi sono guardato allo specchio e mi sono detto "ancora ci riesco". Credo di essere l'unico produttore, definibile tale, che pure col fucile puntato contro, potrebbe dirvi di non aver mai fatto nessun compromesso. Continuo a produrre ciò che voglio e ciò che mi pare giusto produrre, sull'onda entusiasmo. Questo è stato tra i film più facili da produrre: i co-sceneggiatori sono venuti da me e mi hanno detto che volevano fare una serie tv, io inizialmente gli ho detto che avevano sbagliato persona, ma dopo la chiacchierata ho pensato che poteva essere una buona idea di film per il cinema. A quel punto, per me è stato automatico pensare a Daniele, e in seguito per Daniele è stato automatico pensare a Valerio. Con estrema facilità è stato trovato anche l'appoggio in Rai. Credo sia stata la prima volta che un progetto è stato attivato senza una riga scritta.
Nella prima parte del film, le lezioni venivano da una sceneggiatura scritta, o i ragazzi stavano improvvisando? Claudia Russo: Era tutto assolutamente reale, non solo da parte dei ragazzi, ma anche da parte di Valerio. Io davo indicazioni di massima a tutti, derivate dalla mia esperienza di insegnante, ma le mie erano solo suggestioni; loro prendevano spunto da queste, ma poi quello che si vede è tutto vero. Si decideva dall'inizio solo l'argomento della lezione, oltre a qualche escamotage tecnico. È un film anche politico, per ciò che riguarda i ragazzi, e per la situazione che descrive: le uniche strutture statali che insegnano l'italiano agli immigrati sono i CPT, ma il restante 60% del lavoro lo fanno i volontari. Io il volontariato non lo vorrei fare, perché non è giusto che, a livello istituzionale e politico, ci si debba affidare ad esso.
Che tipo di scambio c'è stato, tra voi? Cosa vi portate dietro, da questa esperienza? Valerio Mastandrea: Questo è uno di quei film in cui ciò che ci si porta dietro, si vede sullo schermo. C'era un'immediatezza che Daniele ha messo in scena: l'emozione, e il confronto che si è creato tra di noi, sono il film.
Che considerazioni fate su come il paese tratta, attualmente, i migranti?
La mia percezione non è cambiata, ce l'avevo già prima di girare questo film, da cittadino. Con questo specifico lavoro, ho avuto sicuramente una possibilità in più, quella di ricercare una totale autenticità.
Pensate sia possibile far arrivare il film a quella grossa fetta di popolazione che non ha alcuna sensibilità all'argomento? Gianluca Arcopinto: Se ci limitassimo all'uscita nel circuito di sala, probabilmente non sarebbe possibile. Ma al film sta accadendo una cosa importante, parallela alla sua vita di sala: c'è una grandissima richiesta da parte delle scuole per l'utilizzo didattico, ed è una richiesta che viene da tutte le parti d'Italia. Il film, inoltre, ha tra i suoi produttori Rai Cinema, e magari tra un paio d'anni sarà anche messo in onda, anche se all'una o alle due di notte. Magari, chissà, riuscirà a ottenere anche qualche passaggio su Sky. Ma la sua visibilità nelle scuole mi sembra la cosa più importante.
Come avete presentato ai ragazzi il progetto, e loro come l'hanno vissuto? Daniele Gaglianone: Io sono sempre a disagio nel confrontarmi con l'obiettivo, con il messaggio. Noi andavamo in giro a vedere le vere lezioni nei CPT, e poi spiegavamo ai ragazzi che volevamo fare un film su quel tema, da cui sarebbe venuto fuori il loro vissuto. Io chiedevo loro di mettere in gioco se stessi: se il professore era immaginario, loro al contrario dovevano essere se stessi, e anche l'ottica di recitare era qualcosa che doveva partire dalla loro situazione autentica. Quando abbiamo deciso di cambiare rotta, mostrando il set, io temevo che la soluzione fosse troppo cerebrale, temevo che ciò inficiasse l'immediatezza e la freschezza necessarie per il film. Così ho deciso di non raccontare subito tutta la storia ai ragazzi; al contrario, raccontavo loro pezzi di storia passo dopo passo, lezione dopo lezione.Pensi sia un'esperienza ripetibile?
Non credo che lo rifarei, non perché non mi è piaciuto, ma semplicemente perché è una cosa che ho già fatto: preferisco sempre affrontare altre sfide. Però, è anche vero che in futuro non si può mai dire. Essere comunque riuscito a portare a casa questo film mi sta dando una sicurezza maggiore, rispetto al mio lavoro: non mi spaventa più nulla, e ora credo di essere in grado di fare quasi qualsiasi cosa. Essere riuscito a tenere la barra dritta, quando bastava pochissimo per far scivolare il tutto nel ridicolo, è stato un gran risultato.