Recensione Doppia ipotesi per un delitto (2005)

Evidente lo sforzo del regista, che prova a tutti i costi ad essere originale e imprevedibile. Unica pecca, si lascia prendere troppo la mano, e i buoni propositi purtroppo restano tali.

La lunga notte di Ray Liotta

Doppia ipotesi per un delitto è un progetto ambizioso che segna l'esordio alla regia dello scrittore Wayne Beach, già sceneggiatore di film come The Art of War e Murder at 1600, solo per citarne alcuni. È un thriller dalla parlantina sciolta, che ironizza molto volentieri sul linguaggio utilizzato dalla letteratura noir. Molti personaggi infatti, si esprimono come fossero i protagonisti di un romanzo, lanciandosi in descrizioni ai limiti del grottesco ("lei odorava di mandarino maturo" oppure "lei odorava di purè di patate"), ed è questo l'ingrediente che fa la differenza rispetto ad altri film analoghi. Si sorride.

Questo thriller è fatto di inganni, di maschere, di doppie personalità. Si svolge interamente nell'arco di una notte. Un uomo viene trovato morto nel letto di Nora Timmer, preziosa assistente del procuratore distrettuale Ford Cole (Ray Liotta). In apparenza sembra legittima difesa contro un tentativo di stupro, ma una serie di elementi sembrano portare altrove. In particolare, la testimonianza di Luther Pinks, amico della vittima, che fornisce una diversa versione dei fatti. Sarà una lunga notte di interrogatori e indagini, tra mistero e segreti; sullo sfondo una città sporca e criminale.

Evidente lo sforzo del regista, che prova a tutti i costi ad essere originale e imprevedibile. Unica pecca, si lascia prendere troppo la mano, e i buoni propositi purtroppo restano tali. Troppi capovolgimenti nella parte finale: più che stupire rischiano di stancare. E una risoluzione non proprio imprevedibile.
Appurato che non è la trama il punto forte di questo prodotto, non resta che apprezzare gli elementi "secondari": gli interpreti azzeccatissimi, i momenti comedy e i personaggi vagamente surreali.
La regia non è sciapa, ma probabilmente è un po' troppo alla moda. Colori sfuocati, effetti di ombre e luci, giochi di specchi e riflessi. Niente di nuovo.
Adatto come sempre a interpretare questi ruoli, quella faccia da fumetto di Ray Liotta recita qui la parte di un "fesso". Più che tenere le redini della situazione, sembra sballottato dagli eventi, e ogni indizio utile gli viene imboccato da qualcun altro. Alla fine del film lo vediamo sbracato e con molte rughe in più sul volto. Un personaggio che pur restando molto sulle sue, rischia di divertire non poco.

Insomma, il film è quello che è. Un prodotto passa tempo, animato da qualche guizzo niente male. Potenzialità inespressa? Forse sì. Probabilmente il regista ha messo in luce gli elementi sbagliati, e non ha avuto il coraggio di osare fino in fondo.