Recensione Napoleone (1927)

Colmo di riferimenti pittorici nella composizione delle inquadrature, profondamente innovativo per l'uso della soggettiva, dei carrelli, delle sovrimpressioni e della macchina a mano, il film di Gance è costituito da un continuo giustapporsi di scene madri.

La folle impresa di Abel Gance

Il giovane Napoleone Bonaparte si mette in luce già nel collegio di preti dove studia per una spiccata attitudine alla strategia militare durante un battaglia a palle di neve, ma la sua vita sociale non è altrettanto brillante, il suo carattere fiero e l'attitudine al comando lo rendono inviso agli altri ragazzi. Molti anni dopo le cose non cambiano, è vicecomandante dell'artiglieria ma le sue idee acute e ardimentose non sono gradite dai suoi superiori e il suo carattere non gli procura la simpatia dei pari grado anche se il suo indubbio carisma lo leva d'impaccio in più d'una situazione.
Scampato alla ghigliottina durante il regno del terrore e messosi in luce durante la presa di Tolone per le ardite strategie, Napoleone riesce finalmente ad ottenere la possibilità di emergere quando, caduto il regime di Robespierre, gli viene affidata la campagna d'Italia del 1796.

Prima opera dei previsti sei film che avrebbero illustrato tutta la vita di Napoleone, il film di Abel Gance fu un insuccesso incredibile: troppo lungo (4 ore), troppo magniloquente e soprattutto troppo muto per un'epoca che vedeva il trionfante ingresso del sonoro (il suo film seguente infatti lo sarà). Colmo di retorica e portatore di una visione fallocentrica e fatocentrica della storia, nella quale Napoleone incarna la chiave di volta dei destini di tutta Europa e contemporaneamente l'uomo della Provvidenza, chiamato un giorno a risollevare le sorti della patria, Napoleone rimane a tutt'oggi uno degli sforzi produttivi più immani mai tentati.
Tre anni di riprese, seimila comparse, un alto numero di feriti quotidiani e due morti alle fine delle riprese sono solo parte degli incredibili numeri di un film la cui riuscita è dovuta soprattutto alla personalità carismatica di Abel Gance che ogni mattina passava in rassegna le comparse come fossero truppe, che ricostruì il Mediterraneo in studio e che nelle scene di massa dava il consueto "Motore" con un colpo di pistola. Molti testimoni della sua impresa riferiscono che se alla fine delle riprese si fosse messo a capo delle sue esaltate comparse avrebbe potuto marciare sull'Eliseo.

Note di colore a parte il Napoleone è una visione ispirante. Colmo di riferimenti pittorici nella composizione delle inquadrature (specialmente le stampe d'epoca), profondamente innovativo per l'uso della soggettiva, dei carrelli (arditissimi), delle sovrimpressioni e della macchina a mano, il film di Gance è costituito da un continuo giustapporsi di scene madri e ha un momento di fiacca solo nel terzo quarto quando sotto forma di scialba commedia viene introdotta una dimensione più umana e debole di Napoleone.
Raccontato con uno stile non troppo europeo e per nulla debitore dell'espressionismo che dominava in quegli anni, Napoleon è più vicino semmai all'epica visione storica di Griffith che ad altri europei (forse al solo Ejzenštejn deve qualcosa per il vorticoso montaggio di alcune parti), ma lo stesso cerca una strada indipendente arrivando a punte di vera sperimentazione con la proiezione in parallelo su tre schermi di tre immagini differenti (la centrale era il racconto, quindi la prosa, e le laterali l'allegoria, quindi la poesia, tutte e tre erano il cinema) e un continuo uso funzionale simbolismo.