Prima di addentrarci nella nostra recensione de La festa silenziosa è bene fare una premessa dovuta per mettere in prospettiva il film argentino diretto da Diego Fried. Il rape and revenge è un sottogenere cinematografico che, a partire soprattutto dagli anni Settanta in poi, è riuscito a far parlare di sé a causa non solo dei contenuti espliciti (che possono variare in base alla volontà di shockare e sconvolgere), ma anche alle tematiche proposte. Nella maggior parte dei casi si tratta di un sottogenere che dialoga con il cinema dell'orrore e con quello di genere, mettendo in mostra un gusto per la violenza che, nel corso degli anni, è mutato così come è mutata la sensibilità del pubblico. Come spesso il cinema di genere riesce ad esprimere, oltre alla superficie c'è il racconto di uno zeitgeist che, per quanto possa variare, permane. Questo è il motivo per cui un sottogenere come il rape and revenge, che spesso viene additato come pura pornografia del dolore e del piacere vendicativo, non smette di essere terreno fertile per film che, nel migliore dei casi, riescono a trovare una voce fortissima e a risultare non solo coraggiosi, ma anche perfette fotografie della società (pensiamo al recentissimo Una donna promettente, capace di vincere un premio Oscar). Appare, quindi, quasi una scelta del destino che ne La festa silenziosa questa voce forte non si riesca a sentire.
Notte di sangue
La trama del film non si discosta poi tanto dal più classico dei canovacci appartenenti a questo sottogenere. È la vigilia delle nozze per Laura e Dani che giungono nella villa del padre di lei, dove l'indomani si svolgerà la cerimonia e la successiva festa. Come spesso accade alla vigilia di un evento che cambierà la vita dei diretti interessati, qualche tensione accumulata, qualche paura per il grande giorno tenuta soffocata viene lasciata liberata, dando vita a una situazione di stress che coinvolge i promessi sposi. Di notte, Laura, incapace di dormire e rilassarsi, decide di sfogare il proprio nervosismo con una camminata. Arriverà in un'altra casa, dove un gruppo di giovani è impegnato a divertirsi in un silent party, una festa dove la musica viene ascoltata individualmente attraverso le cuffie dei partecipanti. In questo clima silenzioso, Laura si lascia trascinare dall'atmosfera, fino a rimanerne vittima. Tornata a casa sotto shock, insieme al padre e al suo compagno, deciderà di vendicarsi dell'abuso subito.
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Il meno possibile
La scelta del regista Diego Fried è quasi controcorrente rispetto al resto della produzione di questo sottogenere. Lontano dal voler estetizzare la violenza, La festa silenziosa procede con pochissimi dialoghi e un ritmo parecchio dilatato, atto a costruire una tensione sempre più crescente che, nella seconda parte di film, dovrebbe definitivamente esplodere. Diviso in due metà e lontano dalla classica struttura in tre atti, La festa silenziosa non riesce, però, a coinvolgere a dovere lo spettatore. I problemi si ritrovano in una scrittura che da un lato si adagia sin troppo sugli stereotipi del genere, non regalando alcun tipo di sorpresa allo spettatore che riesce a prevedere ogni svolta narrativa, e dall'altro su personaggi che non mostrano alcun tipo di tridimensionalità, tanto da creare un disinteresse generale su quello che provano. La messa in scena abbastanza spoglia, dove la macchina da presa cerca di compensare attraverso un piacevole virtuosismo (ad esempio con un piano sequenza iniziale ben riuscito), corrisponde perfettamente alla "festa silenziosa": non ci sono suoni o rumori, la violenza avviene in un non-luogo, presente e allo stesso tempo invisibile, scelta perfetta per descrivere come stupri e femminicidi avvengano quasi avvolti nel silenzio, ma il film non riesce a donare profondità al tutto. Rimane una voce inascoltata, dato che non ci sono state offerte cuffie per percepirla.
Il problema della violenza
Dove il film fallisce, però, è soprattutto nella presenza della violenza e dei ruoli dei personaggi. Non vogliamo dire che il rape and revenge, per funzionare, debba in qualche modo costruire un intrattenimento popolare, quasi glam, spettacolarizzando più del dovuto, ma che l'estetica della violenza è parte integrante della storia che si va a raccontare. Lascia alquanto sconcertati trovarsi di fronte a un film che nella seconda metà teme di mostrare troppo, non lasciando percepire la rabbia vendicativa della protagonista e soprattutto le conseguenze ai danni degli stupratori (non ne stiamo facendo un discorso etico sull'uso della violenza, ma ogni genere cinematografico ha le sue regole per funzionare), ma non si tira indietro nel mettere in scena, più volte, lo stupro. Un ragazzo dal volto insanguinato e urlante, lasciando il resto della violenza off screen, è davvero troppo poco rispetto a quanto accade alla donna. Allo stesso modo, i comprimari maschili sembrano farsi carico del desiderio rabbioso della protagonista, imprigionandola a loro volta per gran parte del film in una stanza e, di fatto, privandola dello sfogo necessario. Così il film silenzia sé stesso e non basta un'interpretazione abbastanza sentita da parte della protagonista Jazmín Stuart per poter arrivare ai titoli di coda in qualche modo appagati. O anche solo colpiti.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione de La festa silenziosa parecchio delusi dalle scelte artistiche del regista Diego Fried. Il film è un rape and revenge che rifugge l’estetica della violenza prediligendo ritmi dilatati e i silenzi. Così, però, la seconda parte (il revenge) non si percepisce minimamente in confronto alla prima: tutto avviene fuori campo, facendo perdere di significato all’operazione del film. Non basta un’attrice protagonista convinta.
Perché ci piace
- Qualche virtuosismo della macchina da presa.
- Jazmín Stuart è un’attrice convincente.
Cosa non va
- Rifuggendo dalla violenza nella seconda metà, il film perde di significato.
- Troppa importanza alla prima metà in confronto alla seconda.
- Il canovaccio è davvero troppo classico e parecchio prevedibile.