Recensione Pontormo (2003)

Pontormo ha una regia d'attesa, sguardo mai partecipe, se non per i primi piani dei personaggi che oscurano gli ambienti e i luoghi rinascimentali, e per le carrellate sugli affreschi, protagonisti allo stesso modo degli attori.

La fede nella lentezza

Recuperare la storia fra le migliaia di artisti prodotti dal nostro paese è un'operazione molto interessante, e lo è ancora di più quando si narra la vita di un pittore oscurato dalle reggenze e dalla fama di uno che si chiama semplicemente Michelangelo.
Pontormo è l'ultima opera del regista Giovanni Fago che ha voluto mettere in scena gli ultimi anni della vita del pittore, basandosi sui diari scritti di proprio pugno nella Firenze rinascimentale in mano ai Medici.

Pontormo viene ritratto a 60 anni, stanco e affaticato, mentre sta affrescando S.Lorenzo ispirato da una donna, dalla quale è fortemente attratto. E'una donna fiamminga, senza il dono della parola, impiegata in una arazzeria e che, in seguito ad alcuni atti da lei compiuti, viene considerata un'eretica.
Il confronto fra ciò che è considerato coerente e consono ai costumi e alle rappresentazioni ecclesiastiche e la visione dell'anziano artista dei beati e dei dannati, è il fulcro della storia, poiché Pontormo si vede vicino alla morte e desidera lasciare correre le proprie emozioni senza vincoli e costrizioni.

Interpretato da Joe Mantegna, minimalista e a volte inespressivo, Pontormo viene accusato di realizzare le sue opere con poca solerzia nonostante le ore di lavoro infinite dei suoi giorni e delle sue notti. La lentezza del personaggio si insinua nel film con il risultato di rendere ogni sequenza, interessante ma interminabile, su una linea narrativa fredda e poco coinvolgente, risultando farraginose nella lettura.

Pontormo ha una regia d'attesa, sguardo mai partecipe, se non per i primi piani dei personaggi che oscurano gli ambienti e i luoghi rinascimentali, e per le carrellate sugli affreschi, protagonisti allo stesso modo degli attori. Una nota dolente (scusate il gioco di parole) è la musica di Pino Donaggio, partner insostituibile di Brian De Palma, nella pomposità dei cori con lo scopo di riempire la scena e di ricreare un periodo storico, ma troppo incombente nelle immagini e nelle descrizioni delle opere dipinte dal pittore.

Il film di Fago è un'opera ambiziosa nei contenuti, ma forse troppo complessa e allo stesso tempo poco emozionale. Le emozioni, infatti, mancano totalmente sia nelle riprese degli affreschi, sia nell'amore velato espresso dal protagonista verso quella donna emarginata, e associa alla lentezza il silenzio, intimi momenti di atmosfere asettiche.