Chi ebbe la fortuna di entrare in contatto col mondo delle radio libere (come si chiamavano una volta) può dire di aver vissuto un'esperienza unica e purtroppo irripetibile; a volte il segnale non usciva fuori dal quartiere, quasi sempre c'era troppo dilettantismo, ma erano spazi di grande libertà dove ancora non arrivavano le pressioni delle case discografiche, ci si metteva davanti ad un microfono e si parlava, si esprimevano le proprie opinioni con grande franchezza, si chiacchierava in diretta coi radioascoltatori, si creava un punto d'incontro coi propri coetanei.
Era un tipo di radio "impegnata", a volte "politicizzata" (sovente a sinistra) che fu inesorabilmente cancellata prima dalla "plastica" e dalla perdita generalizzata di valori degli anni '80, poi dall'avvento dei networks agli albori dei '90.
Oggi le radio private (non più libere né di nome né di fatto) tendono ahimé all'appiattimento, alla standardizzazione, i palinsesti sono tutti uguali, le voci tutte uguali, i brani in heavy rotation sono i medesimi su tutte le frequenze.
Le radio locali sopravvissute devono riciclarsi come emittenti di nicchia riproducendo il format dei networks su scala regionale, in alternativa accontentarsi di un bacino di utenza irrisorio e lottare continuamente per la sopravvivenza, legata magari alla presenza di un paio di sponsors.
Luciano Ligabue con Radiofreccia, la sua opera prima cinematografica, intende farci respirare l'atmosfera e le sensazioni di quegli anni, quando anche un gruppo di amici con pochi soldi poteva accendere una frequenza e diffondere le proprie idee ed i propri dischi preferiti; poi arrivò la Legge Mammì, il sogno tramontò velocemente, i piccoli non riuscirono a sopravvivere ed i colossi ebbero il sopravvento.
Radiofreccia aprì i battenti nel 1975, erano gli anni nei quali si godeva dei successi ottenuti grazie alla rivoluzione sessantottina; in un'Italia che si barcamenava fra piombo e crisi petrolifere i giovani (che ancora non si recavano all'estero con la frequenza odierna) avevano il culto di Londra e dell'America, della strada, del viaggio, desideravano respirare la polvere delle routes descritte sui libri di Kerouac e nei dischi di Creedence Clearwater Revival, Lynard Skynard e Doobie Brothers.
Un'Italia che sorrideva al glam di Bowie e Roxy Music e si sentiva "contro" col proto punk di Lou Reed ed Iggy Pop.
Un'Italia che vedeva avvicinarsi le luci della scena disco (Earth Wind & Fire), non sapeva resistere al song writing dei cantautori a stelle e strisce (Warren Zevon, Al Stewart) e discuteva sulle origini del jazz-rock (Weather Report).
Il Liga immagina cosa avrebbe programmato dalla sua radio ideale, prende spunto dal racconto per ribadirci le proprie radici musicali, ma non si ferma qui: idea un secondo cd dove inserisce brani inediti scritti appositamente per il film (alla fin fine un film realizzato da un cantante non può che essere veicolo promozionale per nuove composizioni), alcuni dei quali strumentali, alternati a dialoghi estrapolati dalla pellicola.
Fra i brani inediti spiccano Metti in circolo il tuo amore ed Ho perso le parole, una delle migliori canzoni scritte dal Ligabue col suo inconfondibile stile.
Questo secondo cd è forse più per i fans, per tutti gli altri segnaliamo che esiste una versione riassunta in un solo disco, dove però dovrete rinunciare a Cockburn, Allman Brothers Band e Weather Report.
Insomma un'opera prima convincente sia dietro la macchina da presa che dietro la consolle per uno dei pochi artisti italiani che cerca di essere tale a 360°.
Come un Jack Folla degli anni '70, annunciaci ancora un'altra canzone, caro vecchio Freccia...
Soundtrack
