La colonna sonora di Lady in the Water

Un tema principale tra i più belli ascoltati negli ultimi anni e la solita abilità compositiva di James Newton Howard fanno della colonna sonora di Lady in the water una delle migliori del 2006.

La collaborazione tra M. Night Shyamalan e James Newton Howard continua con Lady in the water, confermando una delle coppie più salde dello scenario cinematografico odierno. La nuova colonna sonora di Howard si assesta intorno alle solite coordinate che il nostro ha ampiamente privilegiato nel corso della sua carriera: temi efficaci ma di una semplicità sbalorditiva, sonorità sontuose e malinconiche di stampo tardoromantico, forti tinte impressionistiche e grande abilità nel creare impasti timbrici che sfruttino al meglio le diverse sezioni orchestrali. E il risultato non sfigura rispetto alle altre colonne sonore composte per Shyamalan. Anzi.

Il primo brano Prologue è davvero affascinante, perché c'immerge, letteralmente, nel mondo da fiaba raffigurato nel film. Un coro a cappella che ricorda vagamente l'Adagio di Samuel Barber e tanti momenti intimistici alla John Williams, anticipa le liquide sonorità della celesta prima che l'apparizione del tema principale, con insistenza sugli armonici degli archi e sugli arabeschi dei legni, cresca lentamente a stabilizzare il mood complessivo. Ancora una volta Howard privilegia come cellula ritmica di base del tema principale le due brevi e una lunga (possibilmente con salti di terza e di quarta), in modo però più fluttuante, più sognante e meno scattante di quello presente, ad esempio, in Signs. E' questa una delle idee più belle mai uscite dalla penna del compositore americano.

In The party il tema del coro a cappella è presentato in una suggestiva variazione che lo immerge nelle profondità dei rintocchi di una percussione, con folate degli archi e un ostinato ritmico che saturano l'ambiente in un'atmosfera memore di Mahler e Shostakovich (la tromba in lontananza). Nella seconda parte un assolo di tromba, insieme a sonorità sempre più impalpabili, portano ad una parziale risoluzione finale con un delicato disegno di celesta e legni.
Charades propone l'ostinato ritmico di base (e Howard sa bene come sfruttare questa figura retorica in senso espressivo) che rimbalza tra le varie sezioni dell'orchestra, con tonalità diverse e colori cangianti, fino a far ricomparire magicamente il tema principale.
Con Ripples in the pool appare il secondo tema più importante dello score, enunciato dal clarinetto e, in seguito, dal flauto e dai violoncelli, che fanno trasparire qualcosa di arcaico in questo brano.
La quinta traccia, The blue world, presenta subito un continuum ligetiano che anticipa un nuovo ostinato ritmico su cui si snodano frastagliati temi ai legni in grado di sondare gli spazi sconfinati delle profondità acquatiche. Un tema modale degli ottoni, assestato su "frequenze" debussyste (La Mer, immancabilmente, visto l'argomento trattato nel film), sfocia in una terrificante fanfara che schiude gli orizzonti dell'altra dimensione (il rutilante Tema del Guardiano).

Il tema principale in Giving the kii fa capolino in modo trattenuto, prudente, senza enfasi. A questa divagazione fa da contraltare il coro a cappella del Prologue che, in lontananza, viene subissato da sussulti che nella settima traccia (Walkie talkie) viene rimpiazzato dall'ostinato ritmico ai legni, dal tema agli ottoni e da leggere strappate agli archi, in una sorta di divertissement grottesco tipico, ancora una volta, di Shostakovich (musicista tra i preferiti anche del grande Bernard Herrmann). La traccia si chiude con un ostinato ritmico agli archi alti e un frenetico ondeggiare di frammenti tematici agli archi bassi. Nella successiva Cereal boxes l'ostinato ritmico viene posto questa volta in primo piano con una valenza prettamente tematica, fino a quando un tema dei violoncelli traghetta l'ascolto verso il tema principale, reso più nervoso e più sfuggente dalle punteggiature dei legni e dagli archi. In Officer Jimbo troviamo sonorità sospese su cui si staglia un flauto che fa della mancanza di un centro tonale solido il suo punto di forza. Il frullio a piena orchestra e il coro a cappella, con il suo tema che sembra girare a vuoto, portano ad una risoluzione alla Barber su cui il flauto nuovamente fa sentire il suo lamentoso canto. Di nuovo l'ostinato ritmico si ripresenta in The healing agli archi bassi con leggeri rintocchi della celesta. Un crescendo porta ad un nuovo ostinato affidato al pianoforte che funge da tappeto al tema principale agli archi e in seguito, con un emozionante balzo in avanti, a tutta l'orchestra. Si giunge così a The great eation, probabilmente il culmine dell'intera partitura. Un crescendo materico situato tra Ligeti e Penderecki riporta alla fanfara mahleriana/shostakovichana di The party a cui segue un tema radioso e solenne quasi alla Bruckner che ben presto si ottenebra raggomitolandosi su se stesso. Ma è solo una momentanea illusione, perché il tema principale si ripresenta in tutta la sua magnificenza dopo un rincorrersi dell'orchestra tra tutti gli elementi tematici ascoltati in precedenza.

End titles, in conclusione, propone un nuovo tema al pianoforte, diretta variazione dei due temi principali e che sembra l'emanazione di tanti adagi romantici. Quattro (inutili?) covers di Bob Dylan (tra le quali segnaliamo l'eterea The times they are a-changin' degli A whisper in the noise) concludono questo splendido album. Tra le colonne sonore imperdibili del 2006.