La musica è stato un elemento fondamentale nella concezione de Il grande Gatsby luhrmanniano, come è facile immaginare; non solo perché nell'estro e nella varietà della musiche di commento è sempre possibile rilevare un tocco personale del cineasta australiano, ma anche perché la musica, in questo caso, serve a rendere tangibile e attuale il romantico, malinconico e umanamente contraddittorio messaggio del romanzo di F. Scott Fitzgerald: il cantore dell'età del jazz, infatti, è anche il nume letterario americano più puro e più corrotto allo stesso tempo, come il suo eroe Jay Gatsby.
Contaminazioni à go go, dunque, che accompagnano la semplicità e il nitore di un lirico tema principale firmato da Craig Armstrong, che si perde forse nell'opulenza rocambolesca della prima parte della pellicola, ma emerge nella seconda, quella più drammatica ed emozionante, e quella in cui la tragica bellezza del protagonista risplende nelle immagini, nei suoni e nel virtuoso fraseggio di Fitzgerald, restituito parola per parola allo spettatore.
Protagoniste dell'anima più lieve e pirotecnica de Il grande Gatsby di Baz Luhrmann sono le correnti black: a cominciare dal jazz, appunto, che nel film è utilizzato, sempre in estrema aderenza a Fitzgerald, come simbolo del nuovo negli elementi di critica sociale della storia, con l'aristocrazia bianca e razzista rappresentata da Tom e Daisy Buchanan che s'inebria al ritmo di una musica la cui profonda libertà e individualità le sfugge inevitabilmente.Dal jazz a Jay-Z a Jay Gatsby il passo è, più che breve, impercettibile: è toccato inevitabilmente al celebre musicista e produttore musicale supervisionare la multiforme soundtrack de Il grande Gatsby, e il suo coinvolgimento si è approfondito fino a indurlo a ricoprire il ruolo di produttore esecutivo dell'intero progetto.
Il risultato è certamente poderoso: se nella prima parte della pellicola, forse anche a causa di un certo distacco nella narrazione, e della reticenza di Luhrmann e del suo co-sceneggiatore Craig Pearce a penetrare i misteri del suo protagonista, l'anacronismo del commento hip-hop alle sequenze di danze, eccessi e libagioni stride anche ai sensi dello spettatore non nuovo al cinema di Luhrmann, con l'avanzare della pellicola la visione si ricompone e anche questa volta riesce quel miracolo universalizzante che ha caratterizzato le più riuscite opere del regista australiano.
Nella collezione magmatica che ci accompagna nel trionfo e nella perdizione di Gatsby, ci sono una paio di pezzi dello stesso Jay-Z, No Church in the Wild e 100$ Bill, oltre a una "pillola" semi-nascosta del classico newyorkese Empire State of Mind, ma il pezzo forte sono i mash-up di generi e atmosfere diversississime, da Bryan Ferry a Lana Del Rey, da George Gershwin a Beyoncé Knowles.
E' proprio la Mrs. Jay-Z a intepretare il pezzo più toccante dell'intera colonna sonora insieme all'André 3000 degli Outkast: si tratta della malinconica, dolorosa, elegante cover di Back to Black della compianta Amy Winehouse - una vittima, come Jay Gatsby, di un sogno inafferrabile.