L'unione e l'amore
Ha solo 18 anni Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva quando incontra Giuseppe Garibaldi, l'italiano arrivato in Brasile nel 1839 con la sua flotta per supportare i farrapos, gli straccioni, nella loro lotta di liberazione dagli imperialisti. Bellissima, con lunghi capelli scuri e uno sguardo fiero, Ana colpisce subito il condottiero che senza pensarci sopra due volte la corteggia dicendole semplicemente 'Sarai mia'. Fresca vedova di un uomo sposato per obbligo due anni prima, Ana vede in Giuseppe la realizzazione del suo sogno: essere una donna indipendente, capace di combattere per i suoi ideali, come e meglio di un uomo. Sconvolto dal ciclone Anita, Garibaldi la porta con sé in ogni battaglia. Quella al fianco degli indipendentisti della Repubblica Riograndense e poi in Uruguay, a Montevideo, dove i due, dopo la tragica morte della primogenita Rosita, iniziano una vita più tranquilla con i figli Teresita e Ricciotti. E' il 1843 quando Garibaldi viene nominato dal presidente uruguaiano Rivera Comandante della Legione Italiana, un contingente militare che come divisa ha delle Camicie Rosse.
Cinque anni più tardi l'Italia, che ancora non esisteva, avrebbe chiamato a gran voce Giuseppe Garibaldi che torna a casa, prima da solo e poi con Anita e i figli, per dare il via al lungo percorso verso l'unità nazionale. Divisi geograficamente, ma accomunati da un grande afflato anti austriaco, i patrioti si affidano anima e corpo al barbuto generale e a quella donna che subito diventa un modello da seguire. Sempre meno angeli del focolare, le donne, come la principessa Cristina di Belgioioso, partecipano in maniera decisiva ai moti di liberazione, anche grazie ad Anita che le supporta fattivamente. Donna d'azione, la moglie di Garibaldi ama però il fronte e quando c'è da difendere la Repubblica Romana, ormai sotto attacco degli austriaci, chiamati a difendere papa Pio IX, non esita un solo istante a spostarsi nella capitale per organizzare un'eroica resistenza, quartiere per quartiere. Inferiori come numero, dopo un ultimo scontro al Gianicolo, Garibaldi e suoi devono per forza abbandonare il campo. Una ritirata verso Venezia, l'unica Repubblica non ancora in mano alle potenze imperiali, resa ancora più straziante dalle precarie condizioni fisiche di Anita, in attesa di un bambino e sfiancata da quei giorni di lotta. La donna spira tra le braccia del suo Giuseppe in una piccola fattoria nelle valli di Comacchio. Primo prodotto della Rai direttamente dedicato al 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, Anita, miniserie in due puntate che la prima rete trasmetterà il 16 e 17 gennaio, rende merito ad una figure più interessanti del nostro Risorgimento, la cui fama è stata ingiustamente oscurata da quella del suo Giuseppe. Considerata a torto come una sorta di 'appendice' di Garibaldi, Anita è stata in realtà una compagna alla pari per Josè (così lo chiamava), ragazza innamorata, ma anche soldato coraggioso; non l'altra metà della mela, ma una donna completa che nell'Eroe dei Due Mondi ha visto un uomo diverso da tutti gli altri. Il regista Claudio Bonivento e lo staff di sceneggiatori, che comprende anche Amedeo Minghi, autore del soggetto e della colonna sonora, si sono messi al lavoro quindi per svelare tutto quello che le pagine di storia non dicono, essendo per natura concentrate sui grandi eventi. Pur senza perdere di vista i macro avvenimenti, è il mondo privato dell'eroe a svelarsi, un mondo che non sarebbe stato lo stesso senza Anita. Le due puntate presentano una netta cesura storica. Se nella prima, che copre un arco temporale che va dal 1835 al 1848, l'obiettivo è focalizzato sui primi anni della storia d'amore tra Anita e Giuseppe, sulle loro peregrinazioni per il Sudamerica e, infine, sull'arrivo in Italia, alla vigilia della Prima Guerra d'Indipendenza, la seconda si concentra proprio sul periodo 'italiano', sulla partecipazione dei due ai moti indipendentisti, alla resistenza antiaustriaca e soprattutto alla difesa della Repubblica Romana, fino al momento della tragica morte della donna. Anita dunque non avrebbe visto lo sbarco dei Mille, l'impresa più nota di Garibaldi, ma in qualche modo ha contibuito a realizzarla, ispirando la vita futura dell'amato. Perché dietro all'irreprensibile condottiero si celava un uomo sinceramente innamorato della sua donna, un uomo che grazie alla presenza costante di quella figura è riuscito a muoversi su terreni pericolanti, ritagliandosi un posto d'onore nella storia patria. Importante proprio dal punto di vista storico per chiarire quegli aspetti poco conosciuti della vita di un'eroina dalle grandi qualità morali, Anita vive della bellezza e dell'intensità del volto della sua protagonista, quella Valeria Solarino che è arrivata addirittura a mentire pur di interpretare la focosa compagna di Giuseppe Garibaldi (un sobrio Giorgio Pasotti) e in quell'attimo di sincero coinvolgimento che si prova al cospetto di una storia che ci riguarda ancora oggi. Se la fiction funziona su più livelli, soprattutto quello sentimentale e drammatico, lo si deve all'indubbia capacità di persuasione che gli attori sanno esercitare sul pubblico. Certo, parliamo di un pubblico avvezzo a opere del genere, affascinato da un tipo di racconto epico, con qualche tocco di retorica, non certo di quello che da una fiction, per quanto nazional-popolare, si aspetta anche una certa innovazione linguistica. Tutto è invece come ci si aspetta da una produzione 'classica': le accurate scenografie fanno da sfondo alle azioni di personaggi impetuosi e appassionati e se certi passaggi nel racconto non risultano fluidi (con dieci anni di vicende da raccontare le ellissi sono necessarie, ma talvolta frettolose), ecco la romanticissima (e un po' invadente) colonna sonora di Amedeo Minghi a fare da collante tra le varie epoche. Il rapporto tra Anita e Giuseppe potrebbe essere considerato d'esempio per il modo in cui due personalità così forti si sono confrontate e sostenute. Il modo in cui Bonivento mette in scena ciò sarà forse poco innovativo, ma è importante, soprattutto per le nuove generazioni, sapere che certe grandi imprese si possono organizzare perché sono uomini e donne forti a pensarle. E questo non è mai banale.