L'orrore esotico di Haiti
L'insostenibile pesantezza del vivere. La grande noia borghese. Laurent Cantet pare riprendere le circumnavigazioni psico-sociali di A tempo pieno per spianarle e diffonderle come un virus. Se là l'inquietudine era tutta chiusa in una mente e in un microcosmo, in Verso il sud essa corre sotto un intero paese, dentro corpi al sole, e tra i nervi di una generazione matura ma abbandonata, adulta ma sfrangiata in un non-essere che non è soltanto fantasmatico, bensì soprattutto morto.
Perché Verso il sud è la versione assolata e de-soprannaturalizzata di Il serpente e l'arcobaleno: nella Haiti di Cantet ci sono sempre gli zombi, non-morti distesi sulla spiaggia a bere cocktail, a sognare il sesso più che a praticarlo, a osservare la realtà turbolenta e sanguinosa come da un trono tutt'altro che stabile. Qui i non-morti non uccidono al pari dell'horror capolavoro di Wes Craven: però rappresentano in maniera altrettanto politica e furibonda il lato oscuro della forza, quella imbattibile perché ricca, dunque non colpevole né punibile legalmente. Le donne che desiderano il nero virile in Verso il sud sono erinni da un'oltretomba che, come l'inferno di Zombi, è adesso sulla terra (e poco importa se nello specifico l'ambientazione è anni '70); però a differenza delle furie greche non hanno il compito di punire gli impuniti, piuttosto di scoperchiare l'abissale bacino d'utenza dei benestanti, e di suggere da esso.
L'umanità bianca di Verso il sud riesce a esistere nel caos, proprio per la visione esotica che la riguarda, panacea al dolore, corazza alla tragedia. L'altruismo turistico è esattamente questo, un do ut des egemone e volgare. Quasi mettesse in scena filosofie e morali del mondo movie il film di Cantet guarda all'orrore meno esplicito ma forse più crudele, operato da gente che crede di fare del bene, mentre invece produce atrocità esclusivamente standone al di fuori. Dunque, guardando, e basta.